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Al Tor des Géants, chi meno dorme, arriva prima e fino in fondo”. Questo è il succo dei dati raccolti lo scorso anno al Tor des Géants, la corsa di montagna più lunga e massacrante al mondo. Ne hanno parlato sabato scorso 9 agosto al Jardin de l’Ange di Courmayeur , Lorenza Pratali, cardiologa ricercatrice del Cnr di Pisa e trailer lei stessa, e Guido Giardini neurologo, responsabile dell’ambulatorio di medicina di montagna dell’Ausl Valle d’Aosta e presidente della Società Italiana di Medicina di Montagna.

Lo scorso anno un gruppo di nove ricercatori, provenienti da Ausl di Aosta, Cnr di Pisa e di Segrate e Politecnico federale di Losanna, ha studiato trentadue concorrenti del Tor, trenta uomini e due donne, per indagare, come ha spiegato Lorenza Pratali, se l’alterazione del ritmo sonno-veglia nell’attività fisica intensa e prolungata possa essere causa di deficit cognitivo, ma anche per valutare il contributo di altri fattori, quali lo stress ossidativo, il sistema autonomo e lo stato di idratazione.

Una serie di test sono stati eseguiti prima della gara, a metà della gara, nella base vita di Donnas e a fine gara a Courmayeur. «Dei trentadue soggetti arruolati solo dodici, tutti maschi, sono arrivati al termine della gara – ha raccontato Lorenza Pratali – Mediamente durante il Tor i soggetti arruolati hanno dormito per circa dieci ore e si sono riposati  la prima volta alla seconda stazione. In media i periodi di sonno sono stati cinque con una durata di due ore e un rapporto fra ore di veglia e di sonno di circa 1:13». E’ interessante il dato che gli atleti che hanno dormito già prima di Donnas non sono riusciti a finire il Tor. Tuttavia i parametri caratteristici del sonno non sono correlati alla posizione in classifica finale, né i profili del sonno prima della gara permettono di predire chi la finirà e chi non. Neppure i test che misurano il livello di attenzione hanno un valore predittivo sull’esito della competizione. Con sorpresa i ricercatori hanno osservato che i livelli di attenzione calano, ma non così tanto come in soggetti che non dormono da due giorni, ma sono a riposo. Anche l’ansia sembra aiuti gli atleti a fare meglio: «Più alti livelli di ansia anticipatoria e una maggior attivazione emozionale permettono agli atleti di terminare la gara in un tempo minore rispetto ai soggetti che non erano caratterizzati da tale profilo psicologico», ha spiegato ancora Lorenza Pratali, che ha concluso con i risultati sul decadimento cognitivo, segnalato da un progressivo calo della funzione olfattiva, e sull’aumento dei radicali liberi ( più 35% a fine gara).

I risultati ottenuti sono così interessanti che il programma è di continuare e ampliare gli studi alla prossima edizione del Tor, in collaborazione con istituti di ricerca italiani e stranieri, secondo quanto annunciato da Guido Giardini, che è alla ricerca di volontari soprattutto tra i trailer italiani. Si ripeteranno gli studi sul sonno e in collaborazione con centri di ricerca francesi e con l’Università di Losanna, dove opera il fisiologo e finisher del Tor Guillaume Millet, sarà indagato l’aspetto infiammatorio dello sforzo fisico prolungato a livello dei muscoli scheletrici e del muscolo cardiaco, con ecografia e risonanza magnetica, quest’ultima con un apparecchio mobile che sarà portato a Courmayeur.

Nel contempo si continuerà con l’opera di assistenza, valutando anche i disturbi e le patologie per le quali gli atleti si ritirano o sono soccorsi. Lo scorso anno il 55% circa dei concorrenti si è ritirato. Sempre l’anno scorso su 706 concorrenti, dodici hanno riportato traumi gravi (uno mortale) e una trentina sono stati portati al Pronto Soccorso e di questi circa un terzo sono stati ricoverati. Traumi, danni muscolari e tendinei e ipotermia sono state le patologie più frequenti, secondo i dati presentati da Guido Giardini, per non parlare delle allucinazioni, rare, ma divertenti, come i delfini avvistati al Col Malatrà.

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