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Due terzi delle stazioni sciistiche alpine italiane a rischio nei prossimi trent’anni se continua il trend di innalzamento della temperatura. Questo il dato emerso dalla relazione di  Luca Cetara, dell’accademia europea di Bolzano, nel corso del convegno sui cambiamenti climatici condotto dal meteorologo Luca Mercalli venerdì 5 ottobre a “Alpi 365 expo”, biennale della montagna.

Utilizzando l’indicatore dell’ “affidabilità neve” (apertura vantaggiosa della stazione per almeno cento giorni all’anno), lo stesso usato dall’OCSE, sono state analizzate 251 stazioni sciistiche italiane. Piemonte e Alto Adige detengono il maggior numero di impianti, posizionati in media a 1700 metri di quota. Le stazioni sciistiche valdostane sono quelle situate a quote più elevate, mentre le più basse si trovano in Friuli Venezia Giulia.

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Attualmente sono “affidabili” 167 stazioni, quelle ubicate al di sopra dei 1500 metri di quota. Nell’ipotesi di aumento di temperatura di 1°C si ridurrebbero a 131 e se la temperatura aumentasse di 2°C (ipotesi tra le più rosee se si riducesse drasticamente l’attuale tasso di produzione di CO2) le stazioni “affidabili” si ridurrebbero a un terzo circa, 88 sul totale di 251. Un  dato che deve far riflettere per tempo sulle opzioni tecnologiche e sui possibili adattamenti comportamentali, come l’aumento di afflusso turistico in periodi più brevi di adesso o la diversificazione delle attività.

Fotografie e filmati recentissimi, presentati da Luca Mercalli, hanno mostrato l’inesorabile effetto del riscaldamento globale del pianeta sui ghiacciai alpini. Da circa venti anni i cambiamenti climatici e l’aumento di CO2 nell’atmosfera sono sui media internazionali, all’incirca da quando nel 1988 fu fondato l’IPCC (Intergovernmental panel for climate change) che ogni quattro anni fornisce un resoconto aggiornato sulla situazione del pianeta. Oggi quasi tutti sono concordi nell’affermare che le anomalie climatiche sono aumentate repentinamente di numero e di intensità e che sono collegate ad un anomalo contenuto di CO2 nell’aria, nettamente superiore a quello registrato nei periodi interglaciali (misurato sui campioni di ghiaccio antartico databili a centinaia di migliaia di anni fa).

Purtroppo i dati sono ancora troppo spesso accolti da una generale indifferenza (le rumoreggianti scolaresche presenti in sala non sembravano molto interessate!) e non si adottano misure efficaci per contenere le emissioni. Neppure i fenomeni collaterali al ritiro dei ghiacciai, valanghe di roccia e laghi effimeri, di cui ha parlato Giovanni Mortara, sembrano essere la molla per attuare provvedimenti a lungo termine, e questo nonostante siano entrambi i fenomeni una reale minaccia per insediamenti umani e abbiano comportato ingenti costi per il contenimento dei loro possibili effetti (svuotamento dei laghi glaciali del ghiacciaio del Belvedere e del Rocciamelone per prevenire una loro devastante tracimazione improvvisa).

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