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Giornata di festa a Montegrosso Pian Latte, in Alta Valle Arroscia, in provincia di Imperia: domenica 16 ottobre si è svolta la trentaseiesima “Festa della castagna”, e il villaggio che contende ad Armo il titolo del comune con meno residenti delle Alpi Liguri è stato letteralmente preso d’assalto dai turisti. Evidentemente le curiosità proposte e, soprattutto, l’atmosfera da festa paesana, il cibo, il vino e la splendida giornata hanno dimostrato una notevole forza attrattiva. Per un pomeriggio, dunque, la ripida strada che attraversa il paesino è stata salita e ridiscesa da centinaia di persone: buoni affari per le aziende agricole locali e per gli organizzatori, ed una efficace vetrina per i prodotti della “cucina bianca”, dal miele ai formaggi al vino ormeasco.



Tra gli eroi della giornata, uno scoppiettante trattore Orsi del 1943 che, malgrado l’età, ha fornito il suo contributo alla rievocazione della battitura delle castagne. In paese è stato allestito anche un piccolo museo dedicato alla castanicoltura; fa parte del “museo del territorio” in corso di allestimento in Alta Valle Arroscia, ed è progettato secondo gli indirizzi – discutibili ma decisamente di moda – dei “punti ecomuseali”: pochi oggetti esposti e molti pannelli illustrativi. Il “reperto” più in grado di accendere la fantasia è la sezione di un monumentale tronco di castagno, i cui anelli testimoniano la veneranda età di oltre cinque secoli dell’albero. Dal museo parte il percorso che conduce, lungo la strada verso case Fascei, al sito dove sono stati ricostruite due carbonaie, una delle quali visibile in sezione, e una “baracca” da boscaioli.



Finita la festa e smontate le cucine, rimane l’interrogativo, a Montegrosso come in tutti i centri “minori” delle Alpi Liguri, se ci siano reali prospettive di un redditizio recupero delle attività tradizionali. Per quello che riguarda il castagno, il panorama non pare roseo: tra le due guerre mondiali, in Liguria, circa 16 milioni di alberi distribuiti su 73.000 ettari producevano una media di 350.000 quintali di frutti all’anno; nel 1998 la produzione ligure è stata di 1.912 quintali e buona parte dei castagneti sono in stato di abbandono. In ogni caso, anche ai tempi della massima espansione delle coltivazioni, il reddito portato dalla castanicoltura era largamente insufficiente a garantire un tenore di vita accettabile a chi la praticava, e se la pastorizia e l’agricoltura non fornivano integrazioni sufficienti, rimaneva solo la strada dell’emigrazione.



La Liguria interna, e forse maggiormente gli Appennini che le Alpi, era inserita a buon titolo in quella che uno storico francese ha definito “l’internazionale della povertà”; l’abbandono del castagneto, seppure negativo dal punto di vista ambientale, è il segnale del raggiungimento di un tenore di vita migliore, dell’uscita dall’internazionale dei poveri. E’ pur vero che sono state condotte, in Liguria come in Piemonte, molte iniziative di “valorizzazione” e di “rilancio” della castagna, ma tali progetti, dalla salvaguardia di cultivar locali ai marchi di provenienza e di qualità, dallo studio di nuove tecniche agronomiche alle campagne promozionali, sono condotti con fondi pubblici e non sempre sembrano in grado di autosostenersi.



Forse, allora, bisognerebbe imparare a guardare il castagneto abbandonato e gli essiccatoi cadenti con meno malinconia, e convincersi che caldarroste e ballotte sono ormai solo un pretesto per fare festa durante una bella domenica di ottobre, senza nessuna nostalgia.

Giacomo Nervi







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