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La nostra bandiera occitana, per la prima volta, ha accompagnato alcuni alpinisti nella salita fino alla vetta dell'Aconcagua, che con i suoi 6962 m. è la cima più alta delle Ande e dell'intero emisfero australe, al confine tra il Cile e l'Argentina. Chiediamo a Ivo Riba del CAI di Dronero, uno dei protagonisti dell'impresa, di raccontarci come è nata l'idea. Il tutto è cominciato circa un anno fa, per l'esattezza a marzo, quando abbiamo deciso di tentare l'Acongagua.

Perché proprio quella cima?
Forse perché è la più alta dell'emisfero sud, poi a gennaio là è estate e il clima ideale, inoltre l'anno prima eravamo stati in Patagonia e sia per la lingua sia per il carattere della gente ci eravamo trovati bene.
Dunque vi siete organizzati…Sí, all'inizio eravamo in quattro poi uno si è ritirato ma si è aggiunto Gigi, quindi tutto procedeva secondo i piani, perché si era detto di essere almeno due coppie.

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Cosí abbiamo cominciato a documentarci, ci trovavamo una volta al mese, mettevamo insieme le varie informazioni e materiali, poi con Internet abbiamo prenotato il viaggio, il Campo Base, i muli per il trasporto e finalmente, a gennaio, siamo stati pronti a partire. Gigi Garro e Livio Belliardo, il presidente del CAI di Dronero, sono partiti il 1 gennaio con scalo a Santiago, io e Giorgio Cucchietti il 2 con scalo a Buenos Aires. Ci siamo trovati il 4 a Mendoza dove abbiamo dovuto fare i documenti per l'ingresso al parco, a 2400 m, perché l'Aconcagua è inserita in un'area naturale protetta; poi tre giorni di cammino con i muli e le guide e finalmente siamo arrivati al Campo Base a quota 4200 metri.

Allora qui poteva cominciare la vera avventura, vero Gigi?
Oh certo ed è proprio cominciata: a giorni alterni salivamo a montare i campi intermedi, ma al campo 2 Giorgio si è fatto male al ginocchio e cosí è tornato alla base con Livio e io e Ivo siamo rimasti soli.
L'umore non era più molto alto e non sapevamo neppure se rinunciare e quindi salire per la via normale, un sentiero innevato nella parete nord. Avevamo anche poco materiale, niente corde, due picche, i ramponi e tanta indecisione. Poi abbiamo visto il tempo cosí bello e ci siamo decisi per la Salita Diretta, quella dei Polacchi. Siamo andati a chiedere una picozza in prestito a una spedizione di Statunitensi guidati da un sherpa che mi ha prestato la sua dicendomi che mi avrebbe portato fortuna perché era già stata sull'Everest.

Cosí nella notte siamo partiti. (A questo punto interviene Ivo)
Io ero un po' preoccupato, ma poi mi sono fidato di Gigi, lui ha molta più esperienza di me, io non avevo mai tentato un'impresa cosí, mi ero allenato un po' sul Cervino e sul Bianco ma niente di straordinario.
Che ne pensi Gigi, faceva bene ad avere tutta questa fiducia?
Sarà pur vero che ho più esperienza di lui, anche perché ho 60 anni e lui ha l'età di mio figlio, ho già fatto parecchie cime in Nepal, India, sono abbastanza allenato ma questa volta volevo provarmi, vedere se ero in forma e mi ha fatto veramente piacere il fatto di essere stato cosí bene anche ad alta quota. Devo dire che nell'impresa ho dato la mia calma, una sicurezza psicologica, ma Ivo mi dava sicurezza per la sua forza smisurata, il suo entusiasmo, come sostiene lui, abbiamo svolto una buona azione di parassitismo reciproco. E poi non dovevamo dimostrare nulla a nessuno e questo ci rendeva sereni e tranquilli, lo facevamo per noi e basta.

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E cosí siete saliti. Abbiamo impiegato un sacco di tempo, anche perché senza corde, senza chiodi, non avevamo sicure, nulla, quindi si andava pian pianino. Arrivati sulla cima è stata una grande emozione: c'era un vento tremendo ma noi, imperterriti e fieri abbiamo aperto la nostra bandiera occitana facendo ben attenzione a non farla volare via.
Al ritorno, per la via normale, tutti ci hanno salutati come un po' bizzarri ma applaudivano la nostra impresa. Per tornare un po' indietro, Gigi, da dove arrivano la tua passione per la montagna, e il tuo rapporto con l'Occitania? La mia passione per la montagna è nata fin da piccolo quando andavo a Castelmagno per le vacanze estive, poi gli anni delle medie a Valdieri, dove facevamo cose folli su per le montagne.. e anche l'Occitania, parte da lontano, dall'incontro con i bambini di Castelmagno che parlavano la lingua, poi ho frequentato per un periodo Coumboscuro quando facevo mostre di pittura e poi la mia amicizia e parentela con Sergio Berardo.

Infine il legame con il territorio, la val Maira, la mia casa di Camoglieres, l'entrata nel Soccorso Alpino. Io sono convinto che la cultura e la lingua del nostro territorio siano una grande risorsa anche per la crescita economica, perché oggi il territorio deve essere caratterizzato e valorizzato nelle sue peculiarità e non dimentichiamo la somiglianze e il legame con l'oltralpe, sarebbe un discorso importante per l'economia delle valli. E quindi avete scelto di portare con voi la bandiera occitana! Sí, anche per tutto questo, ci sembrava bello, e poi fino ad ora siamo stati gli unici occitani saliti sull'Aconcagua, credo, di italiani molti, anche cuneesi penso, non per la Via Diretta, ma molti anche nei giorni in cui noi eravamo là, ma di occitani, unici. Poi la bandiera l'abbiamo riportata gelosamente a casa e appesa nella sede del CAI di Dronero.

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