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una fase della salita al Nevado Copa - Foto Fabrizio Manoni“Il primo sole del mattino illumina la tenda. Fatti gli zaini, in breve, risaliamo il ripido couloir che fiancheggia sul versante Leijacocha il primo salto. Mi prendo subito una gelata alle mani e mi scendono le lacrime per il dolore al ritorno della circolazione. Bene, di solito, dopo la prima gelata, le mani mi restano calde tutto il giorno. Alla fine del canale raggiungiamo il filo della cresta.

Qui cominciano i problemi. Neve inconsistente e meringhe precarie, difficili da aggirare, sono il preludio ad altri tre giorni di scalata, due bivacchi, grandi pericoli e incertezza sulla nostra sorte fino all’ultimo metro prima del pianoro sommitale. Al calare della sera di lunedì 16 giugno superiamo l’ultimo muro verticale di ghiaccio inconsistente e guadagniamo la cima. È da 24 ore che non beviamo a causa del gas venuto a mancare e siamo stanchissimi sia fisicamente che per lo stress psicologico subìto nell’ascensione, ma la cresta sud integrale del Nevado Copa, 6188 m nella Cordillera Blanca (Ande Peruviane), di oltre 2 km di lunghezza è alle nostre spalle”.

Fabrizio Manoni - Foto Luca LorenziniSono fra le parole più tese e intense della relazione della guida ossolana Fabrizio Manoni detto “Manetta” che, lunedì 16 giugno 2003, insieme con un’altra guida piemontese, Enrico Rosso, e le due giovani guide andine Cesar Rosales e Miguel Martinez, ha portato a termine la prima ascensione della cresta sud del Nevado Copa (6188 m), nella Cordillera Blanca. La spedizione, coordinata dalla guida valdostana Valerio Bertoglio e patrocinata dall’originale sezione estera del Cai-Lima, ha dedicato la nuova via a quel Celso Salvetti che, proprio 30 anni fa, fondava in Perù la sezione.

Nevado Copa, dunque, considerato “il 6000 più facile” della Cordillera Blanca. Ma dalla via normale. Non dalla sud.

La neonata via Celso Salvetti invece, ha condotto a percorrere integralmente la cresta dal versante sud che misura almeno 2 km di lunghezza in linea d’aria, ma con uno sviluppo assai maggiore, e che oppone difficoltà estreme, nell’ordine dell’ED+, con passaggi fin quasi a 90° su ghiaccio inconsistente e fino al 6° su roccia. L’itinerario, provante anche sul piano psicologico, è stato percorso prevalentemente a destra del filo di cresta, su terreno più stabile ma tecnicamente più impegnativo, e ha richiesto agli scalatori tre bivacchi: all’inizio, a metà del percorso e sotto l’ultimo salto che precede la vetta. Lungo la via, pinnacoli rocciosi, talvolta monolitici, si alternano a meringhe e pareti ghiacciate, spesso verticali e di scarsa consistenza.

Quella di Manoni e Rosso è solo l’ultima di una lunga serie di imprese alpinstiche italiane nelle Ande peruviane. Una lunga serie in cui Celso Salvetti e il Cai-Lima sez. “Eugenio Margaroli” non sono affatto due note di contorno. E lo si vedrà bene il 4 e il 5 ottobre durante i due giorni di celebrazioni del trentennale della sezione, a Domodossola (con il convegno “Dalle Alpi alle Ande – racconti di alpinismo italiano in Perù, dagli anni ’70 a oggi”) e nella vicina Alpe Devero dove, in contesto conviviale e montano, si rinsalderanno amicizie di lunga data cominciate alcuni decenni fa proprio sulle lontane montagne peruviane.

Celso Salvetti, innanzitutto. La storia di quest’uomo di origini friulane che ora risiede a Domodossola è di per sé romanzesca, come ha scritto Paolo Crosa Lenz, uno dei relatori attesi al convegno: “La sua vita è un romanzo d’avventura che si intreccia con la storia dell’alpinismo italiano. Poco più che ventenne, Celso lascia l’Italia nel 1954 per tentare la fortuna in sud America. Dopo un mese di nave raggiunge il porto del Callao a Lima, la capitale peruviana. Per un anno lavora come minatore nelle miniere di galena (piombo e argento): 12 ore al giorno nelle viscere della montagna a 5000 metri di quota (…). Nel 1960 vive due anni in Amazzonia a Iquitos, ultimo avamposto umano prima dell’immensa foresta. Raggiunge il villaggio dopo tre ore di volo su un aereo ad elica e una settimana di canoa via fiume. Qui vende gelati e caffé in un’improvvisata “osteria” amazzonica. Ritorna a Lima e diventa imprenditore. Celso Salvetti sente prepotente il richiamo delle montagne e la migliore condizione economica gli permette di dedicarsi alle scalate e percorrere i ghiacciai principali delle cordigliere andine. Per anni, gratuitamente, si occupa delle operazioni di sdoganamento, procura jeep e camion, lama e asini da carico per le spedizioni italiane (lombarde, piemontesi, trentine) che attraversano l’Oceano per andare a scalare quelle montagne bellissime e lontane. In breve, negli ambienti alpinistici di mezza Europa, si diffonde la voce che a Lima c’è un italiano che aiuta gli alpinisti. Nel 1969 Salvetti è con Riccardo Cassin impegnato nella spedizione allo Jirishanca Grande nella cordigliera di Huayhuash”.

Ciò che emergerà un po’ da tutti gli interventi (a giudicare da quello che ci hanno anticipato i relatori) è che Salvetti è, ed è stato, un uomo che, nella vita, ha sempre dato, “anche rimettendoci soldi suoi”, ben più di quanto ha ricevuto. Ma il discorso vale anche su un piano non strettamente materiale. Fu sua la decisione di intitolare il Cai-Lima all’amico Eugenio Margaroli, guida alpina di Domodossola che morì in Perù a causa di un incidente sul lavoro. La creazione di questa sezione estera del CAI, alla fondazione della quale parteciparono immigrati italiani in Perù e alpinisti riconoscenti allo stesso Salvetti, contribuì poi alla storia dell’alpinismo italiano in Cordillera Blanca in modo tutt’altro che trascurabile.

Secondo Corradino Rabbi, presidente generale del Club Alpino Accademico Italiano, Salvetti “ha dato un determinante contributo nel favorire la forma attiva nella conoscenza delle Ande Peruviane”. La stessa opinione è condivisa da un altro alpinista accademico, Fabio Masciadri, già a suo tempo segretario della sezione “Margaroli” (attualmente ne è segretario Paolo Paracchini, anima del convegno) che con la moglie Mariola Masciadri, unica donna e redattrice in quegli anni della rivista “Lo scarpone”, partecipò alle spedizioni di avvicinamento al gruppo del Nevado Milpo negli anni 1973-74, gruppo che fu poi scalato nel 1975 proprio sotto l’egida del Cai-Lima.

Forse, con quel che si prepara al Teatro Galletti di Domodossola, ora che anche una via gli è stata dedicata con un’impresa degna del migliore alpinismo, Salvetti comincia a ricevere – e lo diciamo, per quanto è possibile, senza retorica – tutto quello che fino a non molto tempo fa, aveva sempre e soltanto donato: affetto, amore per la montagna e impegno disinteressato.



Lorenzo Scandroglio



Ulteriori informazioni:

Al convegno di sabato 4 ottobre 2003, a partire dalle ore 15.30, presso il Teatro Galletti, a Domodossola interverranno il sindaco di Domodossola Gian Mauro Mottini, il Presidente Generale del Club Alpino Italiano Gabriele Bianchi, l’alpinista accademico Fabio Masciadri, Lodovico Gaetani, alpinista e past president del C.A.I. di Milano, Paolo Crosa Lenz, alpinista e scrittore di montagna, oltre ad illustri personaggi del mondo alpinistico italiano.





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