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Catherine Destivelle convince e avvince ancora, vent’anni dopo le vittorie nelle gare di arrampicata di Bardonecchia e quindici anni dopo le solitarie sulle tre grandi Nord delle Alpi. A Courmayeur lunedì 6 agosto ha conquistato il folto pubblico presente alla serata inserita nel programma di “Esprit de la montagne”, la manifestazione promossa dalla Biblioteca Comunale di Courmayeur e da Grivel Mont-Blanc.
La stessa zazzera da ragazzina impertinente, lo stesso sorriso, la pelle liscia e il corpo agile e flessuoso che il tempo non ha toccato. Da foto e spezzoni di film che ha fatto scorrere sullo schermo si capisce che sono passati due decenni solo per l’abbigliamento: le scarpette non sono più quelle e le tutine aderenti traslucide non sono più di moda.

Oggi Catherine è mamma felice di Victor e si mantiene facendo conferenze, non solo sulla sua carriera alpinistica, ma anche sulle motivazioni e la preparazione, fisica e mentale, per raggiungere un obiettivo, in corsi aziendali di formazione manageriale. Arrampica ancora, in montagna e in falesia, nel tempo libero, quando Victor è a scuola, nei week end e in vacanza. Lei che è stata la prima donna a realizzare l’8a, adesso arriva ad arrampicare sul 7a. "Una volta sul 7 a mi scaldavo" afferma, senza rimpianti, ma riconoscendo i cambiamenti della sua vita.

Catherine ha cominciato ad andare in montagna giovanissima: "A 13 anni ho chiesto a mio padre di fare il giro dello Oisan. Lui mi ha lasciata da sola a La Grâve ed è venuto a riprendermi dieci giorni dopo. È stata una prova di fiducia che mi ha aiutato per tutta la vita". Dopo gli exploit giovanili: 16 anni aveva già salito la Couzy-Daesmaison sull’Olan e la Devies-Gervasutti sull’Ailefroide, e a 17 la diretta americana al Petit Dru, sono arrivati gli anni delle gare di arrampicata sportiva, della preparazione specifica e sistematica. "Ero in competizione con me stessa e non con le altre. Fin da  bambina ero stata abituata ad arrampicare sui massi di Fontainebleu con ragazzi più vecchi di me. Li imitavo e cercavo di fare come e meglio di loro". Vince coppe su coppe e al culmine dell’attività sportiva, decide che le gare non la interessano più.

Arrampica sulle falesie di mezzo mondo dal Dogon alla Thailandia, dove i locali scalano per necessità, per procurarsi cibo. Con Jeff Lowe è sul granito delle torri del Trango in Pakistan, poi nello Utah e in Wyoming, e affina le tecniche di progressione. Dopo aver ripetuto in solitaria e in sole quattro ore il Pilier Bonatti ai Drus, decide di cimentarsi su una via nuova ancora sulla parete ovest del Petit Dru. "Mi avevano paragonato a Bonatti, dicendo che ero meglio di lui perché avevo impiegato quattro ore per una via su cui lui era stato per giorni. Un paragone stupido, senza senso, per l’attrezzatura e le tecniche completamente diverse. Così ho voluto anch’io misurarmi su una via da aprire e sul Petit Dru rimaneva solo una linea non ancora salita". Una preparazione lunga e metodica del materiale: chiodi, dadi, friends e uncini vari, abbigliamento, scarponi, portaledge, studiati con i produttori, e allenamento specifico per mesi per portare a termine un progetto dove lo spazio per l’improvvisazione era ridotto al minimo. Undici giorni in parete, resistendo a tre giorni di maltempo e neve e arrivo in vetta di sera. L’unico rimpianto di quell’ascensione fu il ritorno con l’elicottero. Non era stata abbastanza determinata nell’istruire gli amici ad impedirle di usarlo!

Determinazione e preparazione sono state le chiavi vincenti anche per le salite in solitaria delle tre grandi Nord: Eiger, Grandes Jorasses e Cervino, dei primi anni Novanta e per l’unico ottomila del suo curriculum: lo Shishapangma. In Antartide un incidente banale, (un attimo di rilassamento quando era ormai in vetta e la perdita dell’equilibrio), le ha fatto passare i momenti peggiori della sua vita: due giorni per scendere al campo base e altri tre in attesa dell’aereo che la riportasse alla base internazionale dove un veterinario le rimise in asse la gamba fratturata.

Nel 1997 è arrivato Victor "Preferisco occuparmi di mio figlio – ha affermato – Arrampica come tutti bambini, ma gli piace farlo quando è solo. La sua vera passione è il volo: vuole diventare un pilota d’aerei". Nel 1999 ha effettuato l’ultima scalata mediatizzata, la solitaria alla parete nord della Cima Grande di Lavaredo. "Le scalate mediatizzate sono complicate e richiedono molto tempo. Non ne ho più fatte. Non posso più allenarmi come prima. Non rimpiango nulla del mio passato, ma la mia vita è cambiata. Il mio passato però mi permette di vivere. Parlare delle mie esperienze e delle tecniche per prepararmi e di quel che sta dietro alla realizzazione di un progetto sono il mio lavoro attuale. In tutti i miei exploits la preparazione è stata fondamentale. La preparazione accurata mi permetteva di avere un enorme margine di sicurezza, perché non sopporto la paura di aver paura".

Il futuro non è perfettamente pianificato "Non so esattamente cosa voglio fare: scrivere un romanzo, fare un altro film". Intanto sono cominciate le prove: ha pubblicato un volume autobiografico per Arthaud, uscito in Italia per i tipi del Corbaccio, e sta ultimando un film per canale 5 francese.
Au revoir, Catherine.

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