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Il Comune di Sestriere sorge a 2035 metri sul colle omonimo, a cavallo tra la Val Chisone e la Val di Susa, a pochi chilometri dalla Francia, ed ha 886 abitanti distribuiti su una superficie i circa 25 chilometri quadrati. Le sue origini sono molto recenti: sorto ufficialmente per regio decreto il 18 ottobre 1934 su terreni della frazione Sauze di Cesana, dell'ex comune di Champlas du Col e della frazione Borgata di Pragelato, già a partire dal 1930 vide ingenti investimenti da parte di Giovanni Agnelli, il fondatore della Fiat, che aveva acquistato per 40 centesimi al metro quadrato i terreni. L'industriale fece costruire due torri, ormai famose, frutto del Razionalismo italiano dell'epoca, e tre funivie per i monti Banchetta, Sises e Fraiteve. Sancendo in modo netto la vocazione di Sestriere come stazione invernale per turisti.

Nel corso degli anni Trenta lo sviluppo della stazione sciistica continuò, fino alla brusca interruzione dettata dalla Seconda Guerra mondiale. A partire dagli anni Cinquanta partì la ricostruzione. Oggi Sestriere vanta 146 piste di discesa, servite da 92 impianti di risalita, per una lunghezza di 400 km, 120 dei quali innevati artificialmente. Dal 1967 si svolgono le gare di Coppa del mondo di sci alpino, nel 1997 è stata sede dei mondiali, e nel Febbraio 2006 delle gare della XX Olimpiade Invernale. L'economia di Sestriere, che dipende quasi esclusivamente dal turismo, a partire dalla fine degli anni '80 ha cominciato ad avvalersi dell'aiuto di mano d'opera extracomunitaria, soprattutto nei campi dell'edilizia e della ristorazione. Per questo motivo è nata e si è sviluppata in paese una consistente comunità di origine albanese. Tanto che oggi, dei 91 cittadini stranieri regolari residenti a Sestriere, oltre la metà proviene dal piccolo paese balcanico.

Visto dall'esterno
«I primi lavoratori albanesi arrivarono da noi una quindicina di anni fa -spiega Luca Paparozzi, Vice sindaco del comune di Sestriere con delega alle politiche sociali-. Erano per lo più lavoratori stagionali, impiegati nel campo dell'edilizia». Correva l'anno 1991 quando, per risolvere l'emergenza delle migliaia di albanesi sbarcati sulle coste pugliesi, le autorità italiane organizzarono in fretta e furia decine di centri di prima accoglienza in tutte le regioni. Uno di questi venne realizzato a Susa, a pochi chilometri dal piccolo comune montano.

Ed è proprio da quell'esperienza che è nata l'attuale comunità albanese di Sestriere, che ormai conta 47 residenti regolarmente registrati. «C'è voluta una decina di anni prima che i lavoratori albanesi diventassero stanziali -continua Luca Paparozzi- ma oggi vivono a Sestriere con le famiglie e sono sicuramente la comunità straniera più numerosa in paese. Oltre il 50% di tutti gli stranieri residenti». Una comunità coesa, che si ritrova spesso presso il bar Le Cafè Creme, in via Pinerolo 23/b, gestito dal connazionale Vebi Zeneli. Locale presso il quale ogni settimana arrivano una ventina di copie di Bota Shiptare, il giornale degli albanesi in Italia. «Il Caffè Creme del signor Zeneli in realtà è molto apprezzato in paese da tutti i residenti, stranieri e non -spiega Luca Paparozzi-, perché è tra i pochi locali a non fare solo la stagione invernale, ma tiene aperto tutto l'anno».

Un buon segnale di integrazione, che spiega come poco alla volta la comunità locale abbia ormai metabolizzato i nuovi concittadini. «L'arrivo di queste famiglie, in numero non eccessivo, è stato da noi accettato e percepito come una risorsa positiva -spiega il Sindaco di Sestriere Andrea Maria Colarelli– perché, anche se la nostra comunità vista da fuori può sembrare chiusa, in realtà è in contatto perenne con il resto del mondo attraverso i turisti che ogni anno affollano le nostre montagne». Tutto sommato un buon esempio di convivenza tra culture quello della comunità albanese di Sestriere, anche se, conclude Luca Paparozzi, «Non si può dire che la nostra cultura abbia avuto particolari influenze dalla loro. La comunità albanese, salvo casi particolari, è rimasta abbastanza chiusa in se stessa. Si frequentano principalmente tra loro, e non esistono, ad esempio, ristoranti tipici albanesi o altri segni della loro cultura in paese. Diciamo che, per ora, sono loro che si sono adeguati ai nostri usi e costumi».

(Per leggere l’artico intero: www.chambradoc.it – Nòvas d’Occitània n°64 – Abril 2008)

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