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Si sono conclusi i Mondiali di sci di Bormio e già gli appassionati di montagna guardano al 2006 e alle Olimpiadi invernali di Torino. E se il 2004 è stato l’anno del K2, con un tripudio di pubblicazioni a tema e ben due spedizioni nazionali (quella di “K2-2004” e quella degli “Scoiattoli” di Cortina) a commemorare i cinquant’anni della prima scalata in assoluto al “Karakorum 2” da parte degli italiani Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, questi primi mesi del 2005 (e quelli a venire) confermano un trend di crescita dell’intero movimento: maggiore attenzione mediatica.



E ancora: aumento del numero di pubblicazioni legate alla montagna sia in ambito sportivo che culturale; programmi televisivi dedicati; un film in uscita il 18 marzo anche nelle sale italiane tratto dal best seller di letteratura di montagna “La morte sospesa” dell’alpinista-scrittore inglese Joe Simpson (“Touching the void” era il titolo originale che in quel “Toccare il vuoto” faceva emergere un accostamento ossimorico perduto poi nella traduzione italiana) – pellicola che in Inghilterra ha ottenuto i massimi riconoscimenti e che in mezza Europa ha fatto breccia persino fra i profani della montagna tanto da indurre una grande casa di distribuzione come la Fandango a promuoverlo.



E poi il proliferare di eventi e rassegne quali “Montagne in città” nelle principali metropoli italiane. Naturalmente quando il tambureggiare prende a scaldare i cuori, ecco che cominciano a fiorire iniziative e idee nuove, simili a quella che ha avuto il gallerista e librario antiquario friulano, di lontane origini slovene ora trapiantato a Milano, Andrea Tomasetig, di un “Museo dello sci e della montagna”.



Il progetto, proprio a partire dalla constatazione che la congiuntura è favorevole, si fonda anche sul presupposto che la montagna dei grandi eventi non basta più. Che essa abbia bisogno, insieme, di opulenza e di cultura, per rendere permanente l’utile e concreta la cultura. Perché se si riduce al puro e semplice tubo digerente di manifestazioni lampo capaci soltanto di lasciarsi dietro rifiuti, opere faraoniche inutilizzabili e incassi consistenti ma effimeri, rischia di diventare – scriveva Enrico Camanni in un recente corsivo sulla rivista Alp – un “non luogo”. Ovvero un contenitore indifferente con una striscia bianca (ripresa dalle telecamere) che potrebbe essere ovunque, a Torino, a Bormio, a Pechino, ad Albertville o a Canicattì: “la macchina dei giochi prevede che per tre settimane una fetta di montagna si trasformi in stadio e obbedisca alla legge dello spettacolo, riducendo quel territorio e la sua gente a un ruolo di cornice, sfondo, non luogo”.



Ben vengano allora iniziative che si propongono di far accendere i riflettori anche a lato della pista, sotto le travi di una sala convegni, di una galleria o di un museo. Il Mart di Rovereto, per esempio, ha messo in mostra per alcuni mesi i più bei quadri sul tema ed è stato un successone.

Ora, l’idea di Tomasetig di mettere insieme la più importante biblioteca esistente in Italia dedicata allo sci (la biblioteca Bizzaro) con una delle più significative collezioni europee di ex libris (la collezione Rapisarda), va proprio nella direzione giusta. “Non c’è che da attendere – sottolinea Tomasetig – una sua collocazione per la quale si sono già fatte avanti alcune istituzioni. Poiché però non si tratta di un’asta (il costo della Mostra è definito chiaramente in 115.000,00 euro), andremo da chi saprà presentare un progetto culturale serio, organico e, soprattutto, convinto del fatto che è la cultura il miglior antidoto all’oblio e al declino”.



La mostra, in sostanza, consiste in cartoline, manifesti, stampe, illustrazioni, riviste d’epoca, riproduzioni di xilografie dove si vede che già nel cinquecento venivano raffigurati uomini con ai piedi “zoccoli piani di legno, e lunghi, e in punta ritorti all’insù, a guisa di arco”. I pezzi della collezione Rapisarda raccontanto per immagini la grande storia della montagna italiana ed europea, presentandone i principali aspetti: il paesaggio alpino d’estate e d’inverno, la flora e la fauna, l’alpinismo e i suoi strumenti, lo sci e gli sport invernali, alcuni grandi personaggi intestatari di singoli pezzi (da Guido Monzino a Reinhold Messner, ma anche lo scrittore Antonio Fogazzaro).



Abbiamo messo il naso tra tanto ben di Dio e vi abbiamo trovato delle curiosità in gran parte ignote. Chi andava a immaginare, per esempio, che la prima “settimana bianca” in Italia si svolse nel periodo 1-6 marzo 1911? Lo si vede bene su un numero della Domenica del Corriere (che vi dedica addirittura una copertina di Achille Beltrame) e su un prezioso estratto del novembre 1911 della Rivista Mensile del Touring Club Italiano trovati rovistando per tanti anni sulle bancarelle milanesi.



A dire il vero ai tempi essa fu chiamata “prima settimana d’inverno” o “prima carovana italiana di turismo invernale allo Spluga”. Vi parteciparono ben 300 appassionati che alloggiarono negli alberghi di Campodolcino, Madesimo e Montespluga, raggiunti con un viaggio in treno fino a Chiavenna, poi in camion o diligenza e, infine, nell’ultimo tratto da Campodolcino in slitta. A quella settimana furono abbinati, come si evince dalle illustrazioni e dai testi del citato articolo del T.C.I., un’ampia serie di gare di “sports invernali” (alcuni davvero bizzarri e scomparsi nella forma di allora, altri, come l’hockey, la slitta, lo sci, che hanno conosciuto una grande espansione) cui parteciparono anche valligiani e militari, nello scenario di Madesimo: “Dopo i nobili tentativi e le efficaci dimostrazioni dei propri Consolati di Torino a Bardonecchia, al Cenisio, al Monginevro; di Roma a Roccaraso; di Introbio; di Bergamo, ecc. il Touring […] d’accordo collo Ski Club di Milano, organizzava nell’invernata scorsa, la grandiosa manifestazione dello Spluga, che così vasta propaganda ha fatto […] alla popolarizzazione degli sports invernali”.



Tutte chicche che campeggiano fra i pezzi di questa mostra ideata con rara intelligenza da Tomasetig.

Insomma, per riprendere il filo del ragionamento iniziale, sembra proprio che ci sia chi non vuole arrendersi alla conclusione di quel corsivo di Camanni secondo il quale “viviamo in un tempo che si ciba di presente, rimpiange il passato e non riesce a immaginare il futuro”.

Articolo pubblicato sulle pagine culturali de “Il Giornale”, qui pubblicato per concessione dell’autore







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