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Presentati al congresso internazionale di medicina di montagna di Cogne “Una montagna di salute” i risultati preliminari di alcuni studi condotti sugli alpinisti della spedizione all’Everest del 2004.

Tra gli altri paiono particolarmente interessanti i dati riguardanti la ventilazione polmonare. Un team di ricercatori, guidati da Luciano Bernardi e Annalisa Cogo, ha studiato in undici alpinisti alcuni parametri respiratori (la ventilazione minuto, la frequenza respiratoria, il volume corrente, la saturazione in ossigeno ecc.) sia a livello del mare, sia al campo base (5150 m) all’arrivo e in corso di acclimatazione.



Di essi, un gruppo raggiunse la vetta dell’Everest senza ossigeno (gruppo 1) un altro non la raggiunse o utilizzò l’ossigeno (gruppo 2).

Al terzo controllo, in corso di’acclimatazione, sono emerse differenze statisticamente significative tra i due gruppi. In particolare, anche se in tutti i soggetti l’esposizione all’alta quota aveva provocato un aumento di ventilazione, i soggetti del gruppo 1 (vetta senza ossigeno) al terzo controllo presentarono una minore ventilazione minuto, una minore frequenza respiratoria, e una minore risposta ventilatoria all’ipossia rispetto al gruppo 2, mentre la saturazione in ossigeno risultò sovrapponibile.



In sostanza gli alpinisti del gruppo 1 dimostrarono una maggiore efficienza ventilatoria. Essi potevano ancora aumentare la loro ventilazione con la salita ulteriore di quota, senza raggiungere livelli prossimi ai loro limiti. Pare quindi che un respiro controllato, lento e profondo, permetta di ossigenare bene il sangue, senza portare all’esaurimento l’apparato respiratorio. I dati sono stati confermati dal racconto delle sensazioni soggettive di Alex Busca, uno degli alpinisti studiati, presente in sala come testimonial del congresso.







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