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Novità nella ricerca di persone disperse in montagna: il Garante per la privacy ha dato l’assenso all’uso di nuove tecnologie volte alla localizzazione, tramite sistemi satellitari e telefoni cellulari, di tali persone senza il loro consenso. La localizzazione avverrà solo dopo l'attivazione formale delle ricerche da parte del 118 (Sanità), del 115 (Vigili del Fuoco) o dell’Autorità di Pubblica Sicurezza. I dati raccolti riguarderanno esclusivamente la posizione geografica dei dispersi e saranno acquisiti solo per il tempo necessario alla loro localizzazione, allo scopo di salvaguardarne la vita o l'integrità fisica.

A livello nazionale si è occupato di queste nuove tecnologie Alessandro Molinu (nella foto), consigliere nazionale del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico (Cnsas) e presidente del Soccorso della Sardegna. «Da due anni stiamo lavorando all’applicazione per smartphone GeoResQ – ha dichiarato Alessandro Molinu – ma sino all’ok del Garante della privacy potevamo cercare una persona solo con il suo consenso e la sua collaborazione e con l’intermediazione dell’operatore telefonico. Si è capito che in conclamato stato di necessità il problema della privacy viene a cadere. Se un disperso ha ferite o è incosciente non può collaborare e quindi è stato raggiunto il primo obiettivo di poter localizzare un disperso direttamente da una centrale operativa, senza il suo consenso, abbreviando i tempi di ricerca».  La possibilità di localizzazione avviene sia attraverso la rete telefonica, sia con il segnale GPS (general positioning system) emesso dall’antenna integrata negli smartphone. «Oggi gli smartphone sono il 75% dei cellulari presenti sul territorio nazionale – continua Alessandro Molinu – e quindi in questa percentuale è possibile la localizzazione tramite l’antenna GPS integrata. La localizzazione GPS è molto precisa, con uno scarto intorno ai tre/cinque metri. Al momento stiamo lavorando su strumenti che consentiranno di operare sui diversi sistemi operativi dei cellulari e sulla possibilità di lavorare anche senza l’applicazione GeoResQ preinstallata. Questo dovrebbe tradursi in maggiore efficienza e rapidità nel soccorso all’infortunato e in un risparmio di risorse, ossia diminuzione della durata dei voli di elicottero e meno uomini da impiegare sul campo. Siamo partiti con la sperimentazione e dovremmo essere operativi tra qualche mese, ma non mi sbilancio su date esatte. Come indicano i dati sulle missioni effettuate con la tecnologia GeoResQ, già disponibile a pagamento (dieci euro all’anno per i soci del Club Alpino italiano e venti per i non soci), i tempi di intervento si accorciano».

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Non tutto è così semplice però, perché l’antenna GPS può non funzionare se al coperto (per esempio in una grotta, in un crepaccio, sotto una valanga), alcune funzioni dell’applicazione richiedono la copertura della rete telefonica e comportano una riduzione della durata delle batterie dello smartphone. «In valanga bisognerebbe spegnere lo smartphone o almeno separarlo dall’Artva (lo strumento per la ricerca dei sepolti da valanga), mettendone uno dietro le spalle e l’altro davanti sul petto – spiega Adriano Favre, direttore del Soccorso Alpino Valdostano – Recentemente c’è stato il caso in Svizzera di un travolto da valanga il cui Artva risultava muto. In realtà c’era un’interferenza con lo smartphone. Quando si è esaurita la carica di questo, si è ricevuto il segnale dell’Artva». Per le valanghe, in cui questo sistema di geolocalizzazione non sembra molto utile, prosegue invece il progetto europeo “Sherpa”, sull’uso di droni per la ricerca di persone sia disperse in superficie, sia sepolte da valanga. «Nel prossimo fine settimana del 7 e 8 marzo sono in programma nuove sperimentazioni a Pila (Aosta) con un drone attrezzato con un rilevatore di impulsi provenienti da segnalatori Artva. L’obiettivo è quello di riuscire a perlustrare una vasta aerea valanghiva in tempi rapidi», conclude Adriano Favre.

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