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In un piccolo libro del 1950, “Camillo Golgi ed il suo tempo”, di Ernesto Bertarelli, una bella pagina narra dell’ammirazione del primo Nobel italiano (per la medicina nel 1906), il camuno Camillo Golgi, per i maestosi vigneti del versante retico valtellinese. Nato e cresciuto a un tiro di schioppo dalle balconate aprichesi, sulle quali amava affacciarsi dopo esservi salito da Córteno per l’antica strada Valeriana, il grande scopritore della reazione nera, dell’apparato reticolare interno e del modo per sconfiggere la malaria, Golgi non era l’unico Nobel ad amare la Valtellina…



A ovest infatti – dove dal Monte Belvedere e dal Palabione di Aprica l’occhio arriva appena nelle giornate limpide – godeva il balsamo delle pinete di Madésimo e l’atmosfera dell’alta Valchiavenna, Giosuè Carducci, altro premio Nobel (per la letteratura, 1906).

Non si sa, anche se sembra probabile, se sia Golgi che Carducci apprezzassero anche i frutti derivati dai celebri terrazzamenti, l’uva e i vini di Valtellina.



Alcune manifestazioni, tra cui l’inaugurazione e apertura del Museo Golgi, un possibile gemellaggio con Petilla de Aragón (paese natale di Cajal) e forse un libello apologetico, sono annunciati per il 2006, primo centenario del Nobel Camillo Golgi.



Di seguito il testo tratto da “Camillo Golgi e il suo tempo”, di Ernesto Bertarelli:



“…Il giovane Camillo Golgi amava soprattutto la strada che sale verso l’Aprica. Questa strada, ampia e soleggiata, formava la meta preferita delle sue passeggiate solitarie e, ancora verso la fine del secolo XIX e nel primo decennio del XX, nelle visite al paesello natio, Golgi desiderava ripetere l’ascesa alla località valtellinese.



Coll’andare degli anni le visite di Golgi a Córteno si diradarono, ma egli mantenne un carteggio vivo con gli amici del padre e della sua fanciullezza e spesso li ebbe ospiti a Pavia, e del borgo nativo conservava il più gentile ed affettuoso ricordo. Quando vi si recava soleva ripetere la passeggiata sino all’Aprica e dal bellissimo baluardo aperto sulla Valtellina mirava commosso lo spettacolo delle due ampie valli: quella a sud che si stende in basso sino oltre Sondrio e Morbegno coi mirabili vigneti sapientemente pettinati dai coloni valtellinesi; quella a nord che si spinge in alto sin oltre Tirano. In queste sue passeggiate non amava parlare molto e più facilmente si adattava ad ascoltare gli altrui discorsi.



Ma soprattutto desiderava osservare le meraviglie di questa zona montana così ricca di verde, così ben avvolta in un’atmosfera di serenità, nella quale si moltiplicavano gli esempi del tenace lavoro umano che su ogni piccola terrazza rocciosa, sui più minuscoli ripiani, su ogni più insignificante salienza aveva saputo con intelligente e paziente lavoro creare i vigneti più puliti, più regolari, più belli del pianeta. Poi Egli ridiscendeva a Córteno …”.








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