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Ci sono tre ingredienti fondamentali in questa raccolta di ritratti alpini: la coppia, la montagna, l'orgoglio occitano. Come tali vanno letti e apprezzati, nella loro interdipendenza, un po' come nel gioco della pietra, della carta e delle forbici dove ogni elemento va abbinato all'altro, in un accostamento delicato e complesso, per evitare che le forbici taglino la carta, o la pietra rompa le forbici, o la carta soffochi la pietra.

Innanzi tutto c'è la montagna: se le stesse coppie abitassero in città, o magari in uno di quei centri pedemontani che assomigliano sempre più alla città, le loro storie non sarebbero degne di note. I soliti problemi tra uomo e donna, due passati, i figli, un cane, qualche speranza, il futuro. Niente di eccezionale, se non fosse per la scelta di andare (o di restare) in montagna, che è quanto di più fuori moda si possa concepire in questo nostro deragliamento metropolitano in cui niente sa più di terra e tutto è così fugace, così liquido, così rarefatto, che la terra sembra cosa dei nonni, o di un altro mondo. Eppure buona parte delle scelte di coppia raccolte da Maurizio Dematteis nasce proprio da una critica al nostro vivere e al nostro consumare, tanto che la terra assume un peso ben diverso da quello, obbligatorio, dei contadini o dei montanari del secolo scorso: il peso di chi sceglie.

Il secondo elemento che distingue i ritratti è la coppia stessa, che comporta e innesca problemi di condivisione del rischio (a volte se ne va lui e lei lo segue per amore, altre volte è lei a scegliere e lui ad adeguarsi, altre voltre ancora la fuga o la "resistenza" sono condivise), ma rappresenta comunque una garanzia di continuità. In un posto di frontiera come le Alpi di oggi, dove è appena finita una civiltà e bisogna provare a inventarne una nuova, una coppia che scelga di vivere in montagna rappresenta il nucleo potenziale di una comunità, il seme di un progetto di vita, la cellula di un processo di riproducibilità e dunque una speranza di futuro. Per converso la coppia, se accompagnata dai figli, è il più deflagrante indicatore dei disservizi di valle, dalla scuola che non c'è alla comunità attrezzata solo per i vecchi, e per i ricordi.

Il terzo elemento è l'orgoglio di una minoranza, quella occitana, che dopo le battaglie ideologiche degli anni settanta del Novecento ha coagulato dei sentimenti contraddittori, ma forti e vitali, altalenanti tra l'appartenenza e il rifiuto, la partecipazione e la fuga, la chiusura e la condivisione. Se "l'alpinità", in altre zone delle Alpi, è rappresentata da un indistinto sentirsi "fuori", estranei alla società dominante (metropolitana), per queste valli è un sentirsi dentro e fuori allo stesso tempo, comunque partecipando al dibattuto culturale e politico, e frequentando le stanze della Regione a Torino, senza troppi timori reverenziali.

Naturalmente la vita in montagna resta dura, soprattutto per chi viene dalla pianura, ma questi sentimenti aiutano a cercare un senso, e a vivere per uno scopo.

Dunque la montagna, la coppia e l'orgoglio, come nel gioco della pietra, della carta e delle forbici. Senza la montagna il gioco non avrebbe peso, senza l'orgoglio non avrebbe presente, senza la coppia non avrebbe futuro. È l'intreccio dei tre elementi che tiene insieme i protagonisti di queste storie, e li motiva – senza alcun aiuto – a cercare un'alternativa alla vita urbana, in mezzo a quella natura che tutti invochiamo per un giorno di svago, o per una vacanza alpina. Ma viverci è un'altra cosa.

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