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"Mi piacerebbe poter dormire in una tenda in vetta ad un 8.000, per poter guardare il tramonto e l'alba da lassù. So' che si tratta di un sogno, perchè a quella quota è molto difficile e rischioso sostare, ma credo che nella vita sia importante aprire il cassetto dei desideri e cercare di trasformarli in realtà". Con queste parole, lo scorso luglio, l'amico Walter Nones si era congedato dal pubblico del festival LetterAltura, a Verbania, cui aveva partecipato in compagnia del giornalista Roberto Mantovani, raccontando, nei dettagli, quanto accadde nel corso della spedizione sul Nanga Parbat del 2008 che costò la vita a Karl Unterkircher.

Oggi dobbiamo fare i conti con la sua morte. L'alpinista trentino, in circostanze ancora poco chiare – potrebbe essere stato travolto da una valanga – ha perso la vita in quota, a circa 6000 metri, durante una perlustrazione lungo una nuova via sul versante sud ovest del Cho Oyu, in Nepal. I compagni di cordata, i carabinieri Giovanni Macaluso e Manuel Nocker, dopo alcuni giorni di lavoro per attrezzare il campo alto, avevano desistito, forse a causa delle cattive condizioni meteorologiche. Dalle prime informazioni pare che Walter Nones abbia invece optato per una ricognizione della zona. I compagni, in un secondo momento, non vedendolo tornare, si sarebbero messi sulle sue tracce, trovandolo esanime intorno ai 6000 metri. Il campo base dl Cho Oyu in questo periodo post-monsonico è moto frequentato: tra le spedizione presenti in zona, anche una una guidata da Silvio "Gnaro" Mondinelli e un'altra capitanata dalla Valdostana Anna Torretta.

IL TRENINO DEL BERNINA BANNER 600

Walter Nones era nato a Cavalese il 5 novembre del 1971 e viveva con sua moglie Manuela e i suoi due piccoli Patrik ed Erik in Val Gardena; era Guida Alpina, Istruttore Scelto Militare di Alpinismo e Istruttore di sci presso il Centro Carabinieri Addestramento Alpino di Selva di Val Gardena, in provincia di Bolzano. Chi ha avuto la fortuna di poterlo conoscere lo può ricordare come una persona umile, semplice e trasparente, che conciliava, con amore e rispetto, la dimensione della famiglia, del lavoro e della montagna. La passione per il mondo verticale era nata in lui in tenera età. "Sin da bambino" ci aveva raccontato sulle rive del Lago Maggiore "ho voluto salire sulle vette per vedere cosa si vedesse oltre le cime e così, dalla catena del Lagorai ho visto le tre Pale di San Martino e poi, dalla sommmità di queste ultime, altre montagne e cose da scoprire…. ancor oggi continuo ad andare lassù, per conoscere, visitare, entrare in contatto con nuovi mondi".

"Non potremo più riabbracciarlo – scrive la moglie Manuela sul blog – possiamo solo ricordarlo per il grande uomo che era".

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