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Quanto andrò descrivendo non dovrà essere mal inteso da chi abita le città o le metropoli, a stretto contatto con la frenesia e lo stress che circonda il mondo degli affari e le leve del comando. Se, fare giornalismo è descrivere letteralmente i fatti per come si stanno svolgendo, questo sarà proprio quello che farò!

Mi trovo seduta alla mia scrivania dove sono solita “lavorare”, davanti a me l’inseparabile computer e di fianco il camino, accesi entrambi, ma ogni tanto il mio sguardo va oltre, e con esso anche i miei pensieri, fuori dalle finestre, vedo la neve che scende a larghe falde ormai da giorni e sta ammantando tutto quanto con  la sua coltre (siamo ormai abbondantemente oltre il metro), non posso negare che è sempre uno spettacolo suggestivo che mi tocca profondamente. La neve fuori e le fiamme nel camino all’interno mi fanno venire un po’ di nostalgia, ma non tristezza, di quando ero piccola e con questo tempo si stava tutti in casa, e la mamma o il papà talvolta ci raccontavano delle favole. Così mi è sembrato carino invitarvi tutti in questa mia “stube virtuale" e raccontarvi un’antica favola Walser.

Se gli abitanti di Macugnaga riuscirono a sopravvivere ai rigori dei rigidi inverni alle pendici del Monte Rosa, non fu solo per merito del loro ingegno nel dissodare la terra, falciare il fieno, costruire case robuste sfruttando al meglio le poche risorse di cui disponevano. Si racconta che una parte del merito la debbano ai “Gutviarghini”, fu proprio grazie ai consigli di quei saggi conoscitori del mondo della natura, che gli antichi walser impararono l’arte di lavorare il latte per ricavarne burro e formaggi.

Da sempre, gli antichi macugnaghesi, invitavano i Gutwiarghini a svelare loro il segreto dell’”ultimo siero”, quello che rimaneva dopo che dal latte avevano ottenuto il burro e il formaggio, ma i piccoli uomini selvaggi continuavano a rinviare la risposta. Ai vecchi Walser pareva uno spreco inutile e un insulto alla bontà del Signore non sfruttare anche quel ben di Dio, e per non sciuparlo lo donavano ai poveri affinché anche loro potessero avere qualche cosa di più sostanzioso da bere dell’acqua. Ogni tanto però tornavano sull’argomento e insistevano con i Gutviarghini affinché rivelassero loro il grande segreto. “Non temete” ripeteva serafico il più anziano e saggio dei piccoli gnomi, “arriverà il momento in cui tutto si svelerà”.

Passaro gli anni, passarono i secoli, il Tiglio che avevano piantato vicino al piccolo cimitero intanto era cresciuto di tronco e di fronde, ed era diventato così grande ormai da ospitare tra le sue spesse pieghe, molte famiglie di Gutwiarghini, quando … giunse il “grande momento”. Furono anni quelli, di grande miseria per tutti i contadi e per le valli, una terribile peste falcidiava vittime in ogni dove soprattutto tra la povera gente che non aveva di che nutrirsi per vincere la terribile calamità. Ma quando lo spettro della peste si affacciò sulla valle di Macugnaga e vide che, grazie “all’ultimo siero”, anche i più poveri avevano di che nutrirsi, dovette tornare sui suoi passi e portare il suo crudele ghigno altrove.

Fu allora che il vecchio Gutwiarghini riunì i macugnaghesi sotto il Vecchio Tiglio e disse loro: “adesso avete capito il motivo per cui non vi abbiamo mai rivelato il segreto dell’ultimo siero! Ma è stata la vostra generosità che vi ha salvato dalla peste”. 

 

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