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Sono stati pubblicati di recente e quasi in contemporanea due libri che indagano su due famose prime ascensioni: in ordine cronologico quella agli strapiombi Nord del Campanile di Val Montanaia ad opera di Severino Casara e quella ben più famosa del Cerro Torre di Cesare Maestri e Toni Egger.

“La verità obliqua di Severino Casara”, inaugura la nuova collana di libri di montagna della Priuli & Verlucca dal nome fortemente evocativo di “campo quattro”. L’intento dei direttori della collana, Alessandro Gogna e Alessandra Raggio, è di pubblicare storie di montagna di alta qualità narrativa, dalla fiction all’autobiografia, dal resoconto di spedizione alla saggistica, che sappiano trasmettere emozioni e appassionare i lettori. Il primo volume, scaturito dalla collaborazione tra Alessandro Gogna e Italo Zandonella Callegher, entrambi scrittori, guida alpina il primo e accademico del Cai il secondo, è il corposo resoconto di ottant’anni di discussioni sulla prima ascensione degli strapiombi Nord del Campanile di Val Montanaia, nelle Dolomiti friulane. Nel settembre del 1925 Severino Casara ne dichiarò la prima ascensione in solitaria. Severino Casara, avvocato vicentino, appassionato alpinista, amico fraterno di Emilio Comici, fu non solo alpinista autore di innumerevoli prime ascensioni, ma anche fecondo scrittore e regista. La prima, se tale fu, agli strapiombi Nord del famoso campanile, avrebbe segnato per sempre la sua vita, fatto scorrere fiumi di inchiostro, creato commissioni di esperti, due “processi” da parte del Club Alpino Accademico, trascinando la discussione, si potrebbe dire, all’infinito. Con parole garbate e scrupolo certosino i due autori, che hanno scalato personalmente da itinerari diversi il Campanile, ripercorrono tutte le tappe della vicenda, tratteggiano i protagonisti pro e contro, personaggi chiave dell’alpinismo dolomitico di un intero secolo, fino all’ultimo capitolo. Anche se l’analisi tecnica riguarda in definitiva sette metri circa di traversata e la posizione di cinque chiodi e due fessure, oltre a pagine e pagine di documenti e memorie, la narrazione procede avvincente, ricca com’è di aneddoti, note biografiche e suggestioni interpretative, inframmezzata da salaci frasi in dialetto veneto. Chi ha la pazienza di seguire l’intero percorso e come scrivono gli autori, non ha ancora esclamato “ghe ne go do maroni de sto Casara”, potrà conoscere l’elegante verità “obliqua”, verdetto del processo.

Senza attenuanti è invece la condanna di Reinhold Messner nei confronti di Cesare Maestri e Cesarino Fava. Nel suo “Grido di Pietra – Cerro Torre, la montagna impossibile” edizioni Il Corbaccio, Messner ripercorre cinquanta anni esatti di storia alpinistica della montagna patagonica. Certo c’è precisione nell’indagine, ci sono testimonianze varie per dimostrare la tesi che Maestri e Egger non possono aver raggiunto la vetta del Cerro Torre  nel ’59. C’è persino l’intervista ad un’amica intima di Toni Egger che ormai ottuagenaria poco ricorda e soprattutto di fatti che poco hanno a che vedere con la scalata vera e propria del Torre. Ci sono le opinioni di chi sul Torre è stato dopo Egger, Maestri e Fava, ma ci sono anche prese di posizione soggettive, del tipo: «…la motivazione di Maestri non è sostenuta solo da ambizione e creatività, è fatta di orgoglio, vanità, diffidenza e prepotenza…. Vuole essere un uomo e con  le sue gesta dominare dall’alto il mondo sotto di lui. Nient’altro che machismo italiano, dunque!», e Cesarino Fava viene descritto come arrogante manipolatore di verità nascoste. Quel che Messner cerca è la realtà, forse perché le “verità” possono essere tante e soggettive, L’unica realtà che trova adesso è un Cerro Torre diverso, un nuovo El Chaltèn completamente trasformato, giovani che scalano il Torre senza conoscerne la storia, senza neppure ricordare che Toni Egger è scomparso su quella montagna. Da alpinista geniale e innovatore nonché autore apprezzato, Messner con toni poco garbati, si trasforma in storico e psicologo e infine in giudice.

Dubbi, mezze verità, ricerche, prove, tesi e antitesi: le conclusioni non sono mai definitive. C’è da chiedersi a chi giovi il ciclico ritorno su antiche vicende mentre a poco a poco scompaiono i protagonisti e il loro pezzo di verità. Che Egger e Maestri siano arrivati in vetta al Torre nel ’59 ai giovani alpinisti e andinisti importa poco: a loro interessa arrampicare, scalare, aprire vie nuove. Le polemiche antiche, sembrano dire, sono per chi non ha altro di meglio da fare.

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