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Simone Moro è il più noto alpinista della nuova generazione post-Messner, reduce da un’impresa unica al mondo, la prima salita invernale dello Shisha Pangma (un altro ottomila) effettuata il 14 gennaio. Anche lui ha vissuto una brutta esperienza all’Annapurna, raccontata nel libro “Cometa sull’Annapurna” (Corbaccio, pp. 166, €. 16,50).



Simone Moro, cosa è successo a lei all’Annapurna?

“Era il 1997 e dalla parete sud dell’Annapurna venivano giù troppe valanghe. ‘Qui ci lasciamo la pelle’, ci siamo detti. Allora abbiamo tentato di arrivare in cima per l’ inviolata parete Est dell’Annapurna Fang (mentre Christian stava scalando la Nord), un itinerario probabilmente più duro ma più sicuro perché più verticale. La verticalità impedisce alla neve di accumularsi ma, per contro, sulla cresta si creano delle cornici a sbalzo che spesso collassano. In un mese e mezzo da quella parete non era mai venuto giù niente. Invece la prima e unica valanga che è venuta giù ha ammazzato i miei compagni di cordata Anatolij e Dimitri e per poco non ammazzava anche me. Ho fatto 800 metri di volo! Poi, in maniera rocambolesca, mi sono salvato. Mi sono svegliato nella neve, ed ero vivo”.



Conosceva Christian Kurtner?

“Personalmente poco, ma lo stimavo molto. Lui più che un semplice alpinista penso fosse un’amante dell’avventura in generale. Era un “attento silenzioso”, questa è l’impressione che ho avuto di lui. Anche come fotografo era davvero bravo e sensibile. Mi spiace davvero che se ne sia andato così e non posso che non pensare agli affetti suoi più cari che dovranno ora lottare con il dolore di una ferita e di un vuoto così profondi”.



L’ha mai sfiorata il brivido del baratro?

“Non vivo pensando a non morire ma vivo pensando a Vivere, ossia a costruire un’esistenza basata sull’azione, sui sentimenti, sulla spiritualità, sulla riflessione. Seppure fare il dattilografo è meno rischioso che fare l’alpinista è però certamente anche meno entusiasmante. Quando qualcuno che conosco muore, mi fermo, rifletto, mi ascolto e poi continuo a costruire il mio domani in funzione anche di quelle riflessioni. Coloro che giudicano gli alpinisti dicendo che se le vanno a cercare non capiscono niente. Morire in una corsa automobilistica invece sembra giustificabile perché la contropartita è tanto denaro. Mah… Alla fine la considerazione apparentemente più banale è anche la più profonda: Christian se n’è andato facendo quello che più amava”.

Lorenzo Scandroglio

da Il Giornale del 19/5/2005







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