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Mi trovo a Courmayeur ospite di Betta e Gioacchino Gobbi titolari di Grivel quando, nel museo dedicato alle attrezzature ed alla storia dell’azienda, incontro Ueli Steck, uno dei più grandi arrampicatori su roccia e ghiaccio del mondo. Nel 2004 Ueli Steck ha attirato su di sé l’attenzione dei media e degli appassionati per la solitaria ad Excalibur, via valutata 6b in una parete esposta di 350 metri nel Wendenstöcke in Svizzera, ed ancor di più con un veloce trittico sulle Nord di Eiger, Mönch e Jungfrau in venticinque ore accompagnato dall’amico Stephan Siegrist.



Ma c’è un’altra successiva grande impresa compiuta da Ueli Steck. Si tratta della trasferta denominata “Khumbu-Express” – la Smart Expedition realizzata nella regione nepalese dell’Everest.

Ueli Steck ha nuovamente stupito, con una prestazione fantastica: la prima salita in solitaria della parete nord del Cholatse (6440 m) e della parete Est del Tawoche (6505 m) che sono ovviamente anche le prime solitarie assolute sui due monoliti nepalesi.



Cholatse, millecinquecento metri che Ueli è riuscito a portare a termine su di una parete le cui difficoltà (ghiaccio verticale, roccia valutata V grado e terreno misto fino a M6) sono equiparabili a quelle della parete nord dell’Eiger; ma con un pesante impegno psicologico: Mi racconta Ueli che “se succedere il minimo inconveniente su questo bastione himalayano sei perso; un soccorso è impossibile, e data l’estrema esposizione anche la più piccola disattenzione potrebbe essere fatale!”.



Alle 3 del mattino del 14 aprile, Ueli Steck lascia il Campo Base, sale al Campo Deposito ed inizia l’arrampicata; si sente entrare in una specie di stato meditativo. Uno stato in cui conta unicamente la salita. Ueli descrive così le sue sensazioni: “Sono completamente concentrato sull’arrampicata nel presente più assoluto e caccio via tutti i pensieri su ciò che potrebbe venire dopo.” La vita quotidiana, la sua compagna che l’ha accompagnato fino al Campo Base… tutto è lontanissimo. “Appena sono sulla parete, mi trasformo in una persona totalmente egoista. Ma a maggior ragione mi diverto dopo una salita a fare qualcosa con la mia ragazza che mi segue sempre dal Campo Base”.



La paura si fa viva in Ueli sul Cholatse, a circa 6000 metri, dove si è costruito una truna di neve. Centinaia di metri di progressione sul ripido facendosi sicurezza con la propria corda; tiri valutati come meno impegnativi diventati invece estenuanti dalla mancanze della possibilità di potersi assicurare. In merito al bivacco mi racconta che in quei momenti: “Scende la concentrazione e comincio a pensare. Questi sono momenti difficili. L’esposizione non mi permette di calmare i miei pensieri. L’ambiente è opprimente. Ho dovuto cercare di cambiare il modo di ragionare e pensare razionalmente, obiettivamente.”



Al risveglio lo attendono gli ultimi 450 metri di dislivello, i più insidiosi, quelli che lo separano dalla vetta. La neve poco trasformata sul ripido a 85 gradi rende tutto più complicato. Poi, la cresta prima della Vetta. Mancano forse 300 metri di dislivello. Arriva alla cresta stretta che deve superare a cavalcioni ma non è finita! A 50 metri dalla cima, un crepaccio taglia la cresta in due; la considerazione di Ueli è stata: “Se avessi avuto abbastanza materiale, a questo punto sarei tornato indietro e sarei sceso per la parete in doppia anche se ero vicinissimo alla cima”.



In questi cinquanta metri Ueli ha dovuto dare tutto dopo una giornata in cui si era dovuto motivare e concentrare sempre sul passo successivo. A sinistra e a destra del crepaccio, un abisso di 1500 metri. Il passaggio sulla cresta era impossibile quindi Ueli ha dovuto realizzare un operazione delicatissima. E’ stato necessario ridiscendere di tre metri sulla parete sud, entrare nel crepaccio, risalirlo in spaccata attraversando sulla parete opposta più in alto per poi attuare la manovra più difficile: uscire in Vetta. Ueli pianta allora le sue fide picozze nella neve farinosa sopra il bordo del crepaccio e confida nella loro tenuta al momento del passo decisivo. Il rischio era semplicemente quello di cadere indietro!” Impresa riuscita, è in Vetta.





La velocità, in relazione ovviamente anche al materiale utilizzato, sono un punto fondamentale nell’impresa di Ueli Steck; che sostiene fermamente la necessità, in queste occasioni, dell’utilizzo di attrezzatura ridotta al minimo. Ogni grammo conta.

Se un arrampicatore estremo riesce ancora a superare dei passaggi verticali con uno zaino di sei chili (come lo aveva Ueli Steck) e ad essere veloce su terreno meno ripido dove non si può fare sicurezza, questo non è più possibile con uno zaino di dieci chili.



Sul Tawoche, seconda montagna salita, Ueli Steck ha capito subito, durante il primo tentativo di salita sul bastione roccioso della parete est, che sarebbe stata un’impresa troppo rischiosa; optando quindi per una via di ghiaccio nella parte sinistra della parete interessata. Ueli ha trovato qui una bella linea continua e non particolarmente difficile (per lui…), che ha risolto in quattro ore e mezza nella notte tra il 24 e il 25 aprile.



Al mattino, dopo la discesa per la stessa via di salita, era di ritorno puntuale al Campo Base per la colazione. Il tutto dopo 1500 metri di salita e discesa su ghiaccio tra i 50 e 60 gradi e alcuni tiri verticali valutati M5!



Negli ultimi sette anni nessuno era stato in cima a questa montagna. Sull’Ama Dablam (6814 m), che doveva essere la terza parete (Nord Est) con 1700 metri di dislivello interessata da Khumbu-Express, Ueli Steck ha intelligentemente e prudenzialmente scelto di rientrare da quota 5900 per le condizioni pericolose dovute alle abbondanti nevicate.



Chi è Ueli Steck



La Fotogallery







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