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Un pezzo di California trasportato a Trento, un pezzo dei sogni dell’arrampicata “libera” rivissuto attraverso i racconti del mitico Royal Robbins, protagonista della serata che il Film Festival di Trento ha dedicato al granito della Yosemite Valley. Tanti sogni si sono intrecciati sulle immagini delle pareti strapiombanti di El Capitan e Half Dôme. Quelli che avevano Giorgio Bertone e Lorenzino Cosson quando nel 1976 precorsero i tempi (dell’alpinismo nostrano, s’intende) e si recarono in California, direttamente dalla Valle d’Aosta, per la prima italiana della via del Nose. Quelli di Alessandro Gogna, che sul palco dell’Auditorium Santa Chiara ha ricordato quegli anni con Marco Preti e Franco Perlotto: "Quasi ci vergognavamo dell’attrezzatura (non ci potevamo ancora permettere i “friends”) e dei pantaloni alla zuava". Poi la California divenne una realtà per molti alpinisti degli anni Ottanta.

Vent’anni prima Royal Robbins aveva tracciato sulla parete Sud Ovest  del Capitan la difficile via Salathé con Tom Frost e Chuck Pratt. Il “mitico” maestro dell’arrampicata americana, come ebbe a definirlo Pat Ament nella sua biografia (edizioni Vivalda), l’antagonista degli spit, giovedì sera 3 maggio era a Trento a parlare delle cattedrali di granito. 72 anni, capelli bianchi e mani deformate dall’artrite, ha cominciato dai Toulomne Meadows, dove nel 1865 John Muir diede inizio al mito di Yosemite, per proseguire sulle immense pareti di El Capitan e delle Cathedral Rocks. Un sogno razionale quello di Robbins, sempre serio e concentrato, quasi corrucciato, anche nelle foto di vetta che ha mostrato.

La razionalità gli consentì nel ‘62 di portare l’esperienza californiana sulle Alpi e di disegnare con Gary Hemming la via diretta degli americani al Petit Dru e di continuare nella sua ricerca fino al capolavoro della sua attività, la prima solitaria sulla Muir Wall del Capitan in nove giorni e mezzo, nel 1968. Da allora anche i sogni si sono velocizzati, come ha ricordato Alessandro Gogna: oggi la salita della via del Nose ha un record di due ore e 48 minuti. Ma la preparazione rimane lunga e lenta: Heinz Zak si è allenato per mesi su una trave per il passaggio in libera di “Separate Reality” e  Steph Davies, ha provato e riprovato, rimanendo bloccata in parete dieci giorni, prima di riuscire a salire in libera, prima donna, la via Salathé.

Il sogno “lento” dell’arrampicata artificiale ha affascinato Valerio Folco, chiamato a concludere la serata. Nel 1995 è andato in Yosemite, a salire Zodiac su El Capitan: "È stato un vero colpo di fulmine perché non pensavo che ci fosse la possibilità attraverso l’arrampicata, di scoprire e provare delle emozioni così intense. Una volta tornato a casa l’ho sognata tutte le notti, ce l’avevo sempre in mente e così ho pianificato altre salite". Per le pareti di Yosemite bisogna essere: "esperti, tenaci , determinati" ha affermato, prima di raccontare il mare di sogni ( come il nome della via “Sea of dreams” salita nel 1997) che lo hanno accompagnato nell’avventura dell’artificiale. 

testo e foto di Oriana Pecchio

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