Select Page

Il Governo ha recentemente approvato un disegno di legge nel quale si prevede che i Comuni saranno considerati montani  se la maggior parte del loro territorio si trova a un’altitudine superiore ai 600 metri. Quest’iniziativa sulle Comunità Montane, essenzialmente improntata alla necessità di ridurre i costi della politica, rischia di creare una gran confusione e produrre una serie di ricadute negative, senza riuscire ad affrontare i nodi veri di una pur necessaria riforma delle stesse comunità.

Parlando di montagna bisogna davvero fare attenzione a non buttar via il bambino con l’acqua sporca. Le Comunità Montane costano allo Stato meno di 200 milioni l’anno e sono l’unico presidio di un sistema che produce 203 miliardi di euro tra acqua, energia, economia del legno, risorse turistiche ed agroalimentari. Ci sono da una vita e servono per garantire azioni e progettualità. E, paradossalmente, questa forzatura – che ha innescato forti proteste ed opposizioni – rischia di ingessarne la possibile e necessaria riforma.

Se il provvedimento non cambia c’è il rischio di decretare lo scioglimento di molte comunità montane escludendo dal titolo di montanità il 45% dell’attuale territorio montano piemontese. Nessuno nega l’indispensabile obiettivo della  riduzione dei costi della politica, rendendola più sobria e rispondente alle esigenze di efficienza, ma ciò deve avvenire attraverso misure che consentano la riduzione del numero dei componenti, la ridefinizione delle modalità di elezione degli organi nonché delle funzioni e delle competenze delle Comunità Montane.

La “montanità” non può essere misurata solo con il criterio dell’altimetria: un territorio non è montano solo perché si trova a più o meno metri dal livello del mare, ma è tale perché all’altezza si aggiungono fattori quali la marginalità economica, le caratteristiche morfologiche, le condizioni sociali e gli indici di dispersione della popolazione. Le Comunità Montane possono svolgere una funzione importante come agenzie dello sviluppo montano, con competenze chiare e circostanziate in materia ambientale e dell’assetto idrogeologico, nonché svolgere funzioni associate che i Comuni possono assegnare a loro. E poi, diciamolo: una riforma delle Comunità Montane non può essere disgiunta dal rilancio delle politiche per la montagna.

Per queste ragioni credo sia utile tenere aperto un confronto con il Governo affinché ripensi  la parte del provvedimento relativa alle Comunità Montane, limitandosi solo a definire alcuni criteri generali a livello nazionale in merito ai livelli necessari di “governance” dei territori montani, e affidando direttamente alle Regioni la definizione concreta ed operativa di una riforma efficace e condivisa delle Comunità Montane.

 

Share This