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LA RAMÀ, gruppo musicale delle Valli occitane nato tra la fine del 2003 e l'inizio del 2004, è composto da quattro giovani: Simone Lombardo (val Maira), flauti – ghironda – cornamuse, Davide Meliga, organetto – fisarmonica, Mattia Faletto con chitarra e violino e Piero Nuvoloni Bonet (val Vermenagna) alle percussioni.

Questo gruppo ha due obiettivi fondamentali: da un lato, presentare una musica giovane con pezzi di nuova composizione accanto a quelli tradizionali, con l'invito a staccarsi dalla solita dimensione della danza e entrare nella dimensione dell'ascolto sia del pezzo musicale sia delle parole; dall'altro lato, il gruppo ha iniziato un cammino per spingere alla presa di coscienza della propria cultura e della propria lingua d'origine, partendo fin da bambini. Questa, come loro stessi ci raccontano con il disco L'ENCHARMA, è l'unica speranza di contrastare la globalizzazione e mantenere in vita la nostra cultura.
A questo proposito, abbiamo chiesto al leader del gruppo, Simone, di raccontarci questo disco.

D – Simone, perchè L'encharma, come è nato e che significato vuole avere nel mondo della musica occitana di oggi?

Innanzitutto c'è da sottolineare che l'idea è nata dopo che il gruppo si era ben amalgamato e aveva trovato una sua dimensione musicale. A questo punto ci siamo detti che sarebbe stato bello incidere un disco, anche perchè avevamo già presentato un demo per un concorso e quindi avevamo ormai voglia di farci sentire in modo più incisivo. Subito siamo stati tutti d'accordo che doveva essere un disco nuovo, diverso, con pezzi per lo più di nostra composizione, ma soprattutto non un disco per ballare, basta con la danza, doveva essere un messaggio, un invito all'ascolto e alla riflessione. È nata cosí l'idea di L'encharma che significa incanto e ricorda un po' le imprese dei poemi epici. Ma volevamo qualcosa ancora di diverso, non solo disco e cosí abbiamo deciso di costruire le musiche intorno a una fiaba che ha come protagonista un bambino.

Questa fiaba ha tre dimensioni e vuole lanciare tre messaggi.
Innanzitutto il bambino, che simboleggia l'invito a guardarsi indietro per capire chi si è, le proprie radici, poi il fatto di non usare la lingua come un pezzo da museo ma come veicolo moderno e infine vuole essere una fiaba antropologica contro la globalizzazione.

D – Chi ha scritto questa fiaba e chi ha composto i pezzi musicali?

I testi sono di Piero e le musiche mie, ma lo scrivere e il comporre sono stati un tuttuno, vale a dire che quando a me veniva un'idea musicale subito Piero sapeva come renderla con le parole e viceversa, è stato come raccontarla prima di tutto a noi stessi.
Poi naturalmente c'è stato l'apporto di tutti i componenti del gruppo.

D – Allora, ora raccontala anche a noi e e con i pezzi musicali legati ai vari passaggi.

– Innanzitutto, c'è da sottolinerare che nello spettacolo dal vivo, la fiaba viene letta come filo conduttore, mentre per chi ascolta il disco sarebbe interessante che nel frattempo leggesse le varie parti sul libretto. È una storia che si svolge nelle nostre valli, partendo dal monte Matto con ampio sguardo intorno, ma vi è una nebbia nera che avvolge e imprigiona senza possibilità di ritorno. Conduttore è un sarvan, che si potrebbe definire la conoscenza, l'esperienza, un mediatore ideale, che invita Esteve, un bambino, a fare un viaggio per conoscere la nebbia e la tragedia del popolo.

"… Non hai bisogno di scarpe per questo viaggio, a piedi nudi sarà più facile sentire il calore della terra, sei come un albero, i piedi saranno le tue radici e, ricorda, le radici devono essere ben salde alla terra altrimenti l'albero muore".
Comincia il viaggio, arriva un temporale La ramà, si rifugiano nelle grotte; là, c'è una festa con protagonisti dei cinghiali: La tana, che accompagna l'incontro, racconta come ora non si possa più danzare e cantare all'aperto in quanto c'è la paura di quella nebbia. Questo è un canto di protesta, una musica che vuole essere aggressiva, di denuncia e qui ci è venuta in aiuto la voce di Sergio Berardo, con la sua grinta prorompente; ma poi la festa continua allegra con una musica che rompe la tradizione, una musica dell'est, La balkanica.

Nel silenzio in cui tutto la nebbia avvolge, si levano il pianto e la preghiera di una bambina, Ma priera. Esteve invita la bambina a danzare per sfogare la rabbia, Tintomaro, pezzo questo che dà l'idea della ripresa, della voglia di reagire, ma anche un pezzo che spezza tutti i canoni della musica tradizionale occitana.
Ora Esteve sente i lamenti del popolo imprigionato dalla nebbia: Prizonio vuole essere la musica della disperazione, di queste idee, radici, pensieri, che la nebbia vuole uccidere, vuole sottomettere per rendere tutto uguale e piatto, guai alla diversità!

A questo punto entra in gioco Esteve che si sente soffocare e piange, piange intensamente e il suo dolore sincero risuona in tutta l'Occitania. Dal dolore di questo bambino, "esterno" al popolo, comincia la strada della libertà: En libertat, un coro di cornamuse, una rabbiosa melodia che divora il silenzio. La nebbia svanisce e un cavallo bianco, Marencho, porta Esteve a vedere le valli ormai riunite in un unico sentimento di festa per la ritrovata libertà.
Si festeggia con Virabaraquin e si inneggia al bambino salvatore dedicandogli il pezzo Esteve. Le fate pongono sul suo cuore la stella a sette punte sempre più luminosa e splendente. Esteve, come per miracolo, si trasforma in un Albero Bambino, un olmo, e diventerà il protettore della cultura occitana insieme agli altri compagni alberi bambini, protettori delle altre culture. La storia giunge alla fine con il pezzo che dà il nome al disco, L'encharma, una dolce ninna nanna, la speranza e i sogni possono cambiare la realtà e il suo evolversi.

E, dulcis in fundo, un tredicesimo pezzo, che non ha nulla a che vedere con la storia, un pezzo sperimentale, elettronico, la porta che apre verso il futuro, verso nuovi dischi e nuove storie.
Vorrei cogliere l'occasione di questa intervista, per ringraziare tutti coloro che ci hanno aiutati nella realizzazione del disco, tra gli altri Serena Cobello, che ci ha prestata la sua voce, Sergio Berardo, Riccardo Serra, Dino Tron e Ivan Grosso per il loro intervento in alcuni pezzi, Marco Martinetto per la registrazione e un apporto musicale, lo Dalfin per la produzione e tutti coloro che hanno creduto in noi e ci hanno arricchiti sia sul piano musicale, sia linguistico e culturale. Non ci resta che ringraziare La Ramà e ascoltare questo L'Encharma, un grido di attenzione a non sottovalutare il potere della globalizzazione, ma anche un messaggio di speranza: i giovani, con il recupero della propria cultura e della propria lingua, ce la possono fare!

Un disco emozionante, coivolgente, pieno di passione e di grinta.
Vi proponiamo due dei pezzi più significativi e ricchi.
Ma priera: il cuore della vicenda, è completo, tutti gli strumenti e la voce si raccolgono per sottolineare il pianto di questo popolo (la bambina) che, perse la sua cultura e la sua lingua, chiede aiuto.
Marencho: questo vento del sud che simboleggia la liberazione, libertà musicalmente espressa da un coro di chitarra, ghironda, voce…, una libertà e un intreccio di strumenti.

 

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