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Di globuli rossi e sonno in alta quota si è parlato la scorsa settimana a Viterbo nel convegno della Società Italiana di Medicina di Montagna. Più di 130 tra medici e infermieri hanno partecipato all’evento organizzato dal medico e alpinista viterbese Giovan Battista Laurenti, coadiuvato dal direttivo SIMeM, con il sostegno della locale sezione del Cai, del Comune e della Provincia di Viterbo, dell’Ordine dei Medici di Viterbo, della Locale Banca di Credito Cooperativo e di sponsor tecnici.

La lettura inaugurale sulla storia della medicina di montagna è stata affidata al presidente emerito della SIMeM, Paolo Cerretelli che proprio quest’anno ha festeggiato i cinquant’anni di ricerca sul campo.

La prima sessione del convegno è stata dedicata ai globuli rossi, al metabolismo del ferro e all’efficienza metabolica.  Guglielmo Antonutto, fisiologo di Udine ha studiato i globuli rossi di alpinisti di elite prima e dopo una spedizione al Dhaulagiri durata 53 giorni. Al ritorno dall’alta quota in questi alpinisti si è verificata una distruzione dei globuli rossi più giovani, quelli prodotti durante il lungo soggiorno sopra i quattromila metri. Due sarebbero le ipotesi alla base di questo fenomeno: il crollo della produzione di eritropoietina (EPO) al rientro a bassa quota, avrebbe un effetto negativo sulla maturazione dei giovani globuli rossi che andrebbero così distrutti, oppure i globuli rossi nati in ipossia si troverebbero esposti ai danni di un improvviso aumento dell’ossigeno nel sangue.

Gaetano Cairo, patologo dell’Università di Milano, ha esaminato l’interazione tra il metabolismo del ferro e i livelli di HIF1, (fattore inducibile dall’ipossia). Con l’aumento della produzione dei globuli rossi in alta quota, aumenta anche la richiesta di ferro, componente dell’emoglobina dei globuli rossi. Il ferro viene così mobillizzato dai depositi e in certe condizioni anche dai muscoli, dove si trova come componente della proteina mioglobina, e talvolta  si viene a creare una “competizione” tra muscoli e midollo osseo per l’utilizzo del ferro. I depositi di ferro devono quindi essere ben rappresentati prima di un soggiorno prolungato in alta quota.

Claudio Marconi, fisiologo del CNR di Milano, partendo dal dato di maggior efficienza metabolica dei tibetani in alta quota, ha esaminato la possibilità che una adeguata combinazione tra durata di esposizione e grado di ipossia (cosiddetta “dose-ipossia”) possa indurre adattamenti molecolari tali da migliorare l’efficienza metabolica anche nei residenti a bassa quota e indipendente dalle modificazioni dei livelli dei globuli rossi.

Nella serata il convegno è stato aperto al pubblico con la relazione di Giovan Battista Laurenti sull’allenamento e la presentazione del  manuale di medicina di montagna della commissione medica del Cai a cura di Enrico Donegani, presidente della commissione stessa.
Nella seconda sessione si è parlato di sonno in alta quota. Corrado Angelini di Padova, Giuseppe Insalaco di Palermo e Camillo di Giulio di Chieti, hanno spiegato come in alta quota l’architettura del sonno sia completamente sovvertita, soprattutto nelle fasi di acclimatazione. Durante il sonno, in alta quota si verifica spesso il fenomeno del “respiro periodico”, caratterizzato da cicli di atti respiratori sempre più superficiali, seguiti da una pausa (apnea) e sono frequenti improvvisi e brevi risvegli. L’acetazolamide a basse dosi pare migliorare la qualità del sonno stimolando i centri del respiro, ma l’acclimatazione rimane il miglior modo per ripristinare l’equilibrio del sonno.

Una relazione di Guido Giardini di Aosta sulla risonanza magnetica nucleare nella diagnostica delle lesioni cerebrali da ipossia e una serie di comunicazioni libere, che hanno mostrato la varietà di interessi dei medici che si occupano medicina di montagna, hanno concluso i lavori.

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