Select Page

Giovedì 30 marzo a Saint-Vincent si è parlato di permafrost in un seminario organizzato dall’Arpa (Azienda regionale protezione ambiente) della Valle d’Aosta e dall’Università dell’Insubria di Varese, in collaborazione con la Fondazione Montagna Sicura. Tra i relatori e il pubblico numerosi esperti provenienti da tutta Italia, Francia, Svizzera, Stati Uniti: Jerry Brown, presidente dell’International Permafrost Association, il meteorologo Luca Mercalli, Mauro Guglielmin dell’Università dell’Insubria e lo svizzero Stephan Gruber (foto partecipanti convegno).



Con il termine permafrost s’intende qualsiasi tipo di terreno che permane a temperature inferiori a 0°C per almeno due anni. Il permafrost è costituto da uno strato superficiale, detto strato attivo, il cui spessore può variare da pochi cm a 5-6 metri e la cui temperatura estiva può essere superiore a 0°, e da uno strato profondo di spessore variabile, tra i 50 e i 120 metri nelle Alpi. Il permafrost è caratteristico delle terre artiche e antartiche, come Alaska e Siberia, della Mongolia, di ampie zone della Cina, e delle alte quote e quindi di numerose catene montuose, Alpi incluse. Il permafrost è un’entità molto importante a livello mondiale, sia perché connesso a rischi geologici sia perché implicato nei flussi delle acque superficiali e profonde e nel bilancio globale del carbonio, inclusi i gas serra.



Come ha sottolineato Raffaele Rocco dell’Assessorato all’Ambiente, nell’introduzione al seminario, il monitoraggio del permafrost è finalizzato alla difesa del territorio da eventi estremi e allo studio di misure di prevenzione.

La temperatura del terreno è influenzata da numerose variabili, tra le quali la temperatura dell’aria, le radiazioni solari, la distribuzione del manto nevoso, l’inclinazione e l’esposizione del terreno, la copertura vegetale. Risultano quindi di fondamentale importanza le raccolte di dati climatologi generali e delle temperature degli strati superficiali e profondi del terreno in siti campione. L’elaborazione di questi dati in base a “modelli” permette di disegnare delle mappe di distribuzione del permafrost, mappe che risultano più o meno precise in base alla quantità e qualità dei dati a disposizione.



Nel corso del seminario Edoardo Cremonese e Umberto Morra di Celle dell’Arpa Valle d’Aosta hanno illustrato i siti di monitoraggio al Colle delle Cime Bianche e sul versante sud del Cervino. Lo svizzero Stephan Gruber ha presentato i dati relativi al versante nord del Cervino, soffermandosi sui “tempi di reazione” degli strati, superficiale e profondo: le frane del 2003 sono la risposta immediata degli strati superficiali ai cambiamenti climatici; gli strati profondi reagiscono più lentamente. «Grosse frane potrebbero avvenire nei prossimi anni, anche con estati meno calde e il monitoraggio del permafrost è raccomandato per prevenire possibili rischi geologici in aree di montagna con importanti infrastrutture» ha concluso Mauro Guglielmin.





Share This