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Un’edizione piena zeppa di proiezioni, presentazioni di libri, premiazioni e appuntamenti vari, tanto che si faticava non poco a stare al passo con il programma, come se lo speed climbing avesse contagiato gli organizzatori nell’imprimere frenesia e velocità alle giornate. Dopo alcuni tentativi di stare al passo, molti si sono comunque rilassati un po’(o per meglio dire hanno ceduto alla stanchezza), cercando di afferrare l’antica atmosfera di “montagna” che da sempre, seppure tra alti e bassi, al campo base o in birreria, si respira al Trento film festival.

Chris Bonington dopo aver ricevuto  il riconoscimento di socio onorario del Film festival dalle mani del presidente Italo Zandonella Callegher, ha parlato degli anni del suo apprendistato, dalle prime ascensioni in Scozia alla spedizione all’Annapurna, quando si concretizzò la sua scelta di vita: scalare! Il racconto si è dipanato tra i tentativi all’Eiger, l’epica ascensione del pilastro centrale del Freney, la Torre Sud del Paine in Patagonia e l’Annapurna, tra sottile  humour e autoironia, con un po’ di tristezza nel ricordo degli amici scomparsi, primo fra tutti il “grande” Don Whillans.

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La genziana d’oro, Gran Premio città di Trento è andato a un film impegnato, in cui le montagne sono lo sfondo ad una scelta di libertà e autodeterminazione culturale e politica. “Primavera in Kurdistan” di Stefano Savona, è il ritratto di giovani guerriglieri curdi, ragazzi e ragazze, che hanno rinunciato ad una vita normale per difendere la loro identità di popolo e nazione.

La genziana d’oro del Club Alpino Italiano per il miglior film d’alpinismo è stata assegnata all’americano Peter Mortimer per “First ascent” viaggio intorno alle fessure, alle pareti e alle scogliere del mondo, ultima frontiera dell’arrampicata per un gruppo di giovani  scalatori, moderni pionieri anche nella difesa dell’ambiente. La terza genziana d’oro, gran premio città di Bolzano, per il miglior film di sport, esplorazione e avventura  se l’è aggiudicata “Tre prize of the Pole” del danese  Julén Staffan, documentario sul destino di sei Inuit portati a New York nel 1887 da Robert Peary, al ritorno da uno dei suoi viaggi di esplorazione al Circolo Polare Artico.

La  giuria preseiduta da Alessandro Gogna, ha assegnato un premio speciale a “L’isola deserta dei carbonai” di Andrea Fenoglio, affresco dell’attività degli ultimi carbonai della Val Lemina e del Grandubbione, un angolo di montagna selvaggia e quasi disabitata a pochi chilometri da Torino.

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Le genziane d’argento sono andate alle discese mozzafiato di “Loop” del norvegese Sjiur Paulsen, al dramma psicologico “Firn” del tedesco Axel Kroenzen e al tedesco Pepe Danquart per il discusso “Am limit”. La pellicola sulle scalate veloci dei fratelli Huber, girata con grande profusione di mezzi e apprezzabile per le immagini tutte rigorosamente “reali” e non confezionate al computer, ha lasciato molti delusi e annoiati: 95 minuti di rincorse sulle pareti di granito forse sono troppi anche per i due fratelloni molto “macho”, tutti “muscoli e barba incolta”. Non a caso il premio del pubblico per la sezione “Alp & ism” è stato vinto dall’argentino  Ramiro Calvo con “ Cerro Torre, Ritmo latino” cronaca allegra e autoironica dell’ascensione al Cerro Torre per la via dei Ragni: la musica aiuta in un’ascensione difficile e pericolosa e la gioia degli alpinisti in cima diventa contagiosa.  Lontani da polemiche, senza rodersi il fegato su primati, vere bugie e false verità, i giovani climbers documentano, finalmente, il piacere di una salita, la soddisfazione di una cima impegnativa: grazie a loro,  il puro piacere dell’arrampicata  è salvo!

Oriana Pecchio da Trento

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