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Simone Moro, il più noto alpinista italiano della generazione post-Messner, che l’anno scorso ha compiuto la prima ascensione invernale di un ottomila, lo Shisha Pangma, in questi giorni ne ha combinata una delle sue.

Aveva lasciato l’Italia per scalare il Lhotse da una cresta inviolata (che però non era in condizioni) e lo abbiamo ritrovato sull’Everest, a compiere una traversata da sud a nord, cioè da Nepal a Tibet, con l’uso parziale dell’ossigeno. Si tratta della prima solitaria in poche ore (per i dettagli meglio aspettare dati certi), anche perché sulla carta il passaggio dal confine nepalese a quello cinese è severamente vietato, specie in mancanza di appositi permessi, come era il caso di Simone.



Così, per esplicita ammissione dello stesso alpinista bergamasco (che con questa performance ha raggiunto la cima dell’Everest per la terza volta), da impresa alpinistica di valore a nostro parere relativo, si è trasformata in una “complicata questione dai risvolti legali con tanto di reprimenda e ammonimenti delle autorità a non svolgere attività alpinistica non autorizzata”. In sostanza Simone è rimasto alcuni giorni ai campi tibetani avanzati dell’everest in ostaggio delle procedure burocratiche cinesi.



Ora è tornato in Nepal ma sono ancora ignote le sue prossime mete: tornerà a casa o tenterà qualche altra vetta? Certo è che la stagione per gli 8000 in questa zona dell’Himalaya si sta concludendo mentre con il mese di luglio si apre quella in Karakorum, dove si trovano K2, Broad Peak, Nanga Parbat e i 2 Gasherbrum..

Lorenzo Scandroglio





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