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Nei musei walser spesso sono esposte delle tavolette di legno o dei bastoni quadrangolari con incisi strani intagli e tacche a noi ormai incomprensibili. Sono quelli  veri documenti di legno in cui sono impressi a fuoco i segni di casa. Relitti di una cultura primitiva, forse risalente al paleolitico che gli antichi Walser  avevano importati dal natio Vallese. Le tessere servivano a fissare diritti e doveri di ciascuna famiglia e a fornire prove: in altre parole erano un mezzo arcaico ma efficace per garantire l’ordine nella comunità.

Nei paesi walser dell’Ossola  ne conosciamo di tre tipi. A Salecchio, fin quasi alla sua scomparsa, era conservato nella chiesa un bastone quadrangolare, in cui erano impressi i segni di casa delle singole famiglie le quali, fissavano come in un registro, la successione dei membri del villaggio che dovevano a turno occupare la carica di sacrestano. Una tessera quindi esprimente un dovere. Le “tessere” di  Formazza invece, erano lunghe dai quindici  ai venti centimetri in cui, accanto al segno di casa erano intagliate delle tacche grandi o piccole, rappresentanti le misure della quota in bestiame, che un proprietario poteva far pascolare sugli alpi: l’unità di misura era la “bovina” o capo grosso, divisa in dodicesimi detti "Krinne", tessera quindi esprimente un diritto. Un tempo sulle tessere di legno si teneva anche una sorta  di primitiva contabilità, soprattutto nel segnare il dare e l’avere delle chiese e delle confraternite, usanza quest’ultima sempre osteggiata dall’autorità ecclesiastica, che raccomandava e imponeva l’uso dei libri contabili. Ad esempio, dalla relazione della visita fatta nel 1597 a Migiandone dal vescovo Carlo Bescapè risulta che il curatore  che riceveva le elemosine offerte alla chiesa parrocchiale “non tiene libro dove scrive il receputo et espeso, ma tutto nota sopra le tessere di legno, et alla fine del suo maneggio va dal parroco (il) quale riporta tutto quello (che) è signato sopra dette tessere, quanto receputo quanto speso, et poi il parroco nella piazza alla presenza delli uomini di detto comune legge tutte le partite et si fano li conti a detto curatore”. Così si praticava anche ad Ornavasso, Salecchio e Formazza, dove nel 1690 il vescovo Giovan Battista Visconti lasciava questo ordine tassativo: “Costumandosi in questa parrocchia di far gli impegni proprii del Parrocchiale, oratori ed altri luoghi pii con tessere, come le chiamano, ed altresì colle medesime tenere il conto delle spese e ricevuto, il che non può  ridondare che in grave pregiudizio nei medesimi luoghi pii, o per inavvertenza o per altri mancamenti, comandiamo perciò espressamente al Curato che, unitamente co’ Curatori rispettivamente  a detti luoghi pii, faccia in modo che tutte le tessere capitali si riducano ad istrumenti autentici secondo l’uso del paese rogati da notaio idoneo, e che coppia di questi si riponga nell’Archivio della Parrocchia in sagrestia, che dovrà esser chiuso con due chiavi di fattura diversa…” (Archivio parrocchiale di Formazza).

Ogni famiglia, fino a poco tempo fa, aveva il  proprio segno di casa – Hüszeichen -, che consisteva generalmente in linee rette variamente combinate  e formanti semplici figure, oppure in punti diversamente distribuiti. Perché non vi fosse possibilità di confusione, ogni segno doveva essere diverso. Essi venivano stampati a fuoco sugli utensili di legno usati nei lavori agricoli, per marcarne la proprietà. In alcuni luoghi però si usavano le semplici iniziali.

(Notizie tratte da: I Walser di Renzo Mortarotti – Ed. Giovanacci – Domodossola)

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