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Coperte per tenere al fresco i ghiacciai: i teli  sintetici fanno nuovamente parlare di sé. Dopo la Svizzera, dove dal 2005 alcune società funiviarie dei Grigioni e del Vallese proteggono ettari di ghiacciai utilizzati per lo sci, e l’Austria, dove nella Stubaital da anni si utilizzano i teli, la copertura tessile è arrivata anche sul versante Sud delle Alpi, sul ghiacciaio della Presena in Trentino.

Se servano e quanto siano utili se ne sta occupando adesso l’Università di Milano «Quando qualche anno fa abbiamo letto della copertura dei ghiacciai, siamo stati in molti ad arricciare il naso – racconta Claudio Smiraglia, presidente del Comitato Glaciologico Italiano – ma adesso, visto che si sta diffondendo e che pare efficace, siamo interessati a capire, se, quanto e come funzioni».

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Per questo l’Università di Milano la scorsa primavera ha avviato un progetto strettamente scientifico sostenuto da borse di studio della Levissima sul tema “Acqua e ghiacciai: conoscenza e conservazione”. «Si tratta di capire come  il telo modifichi gli scambi energetici tra ghiacciaio e atmosfera – spiega ancora Smiraglia – e quantificare che percentuale di neve e ghiaccio venga preservata dalla fusione. In pratica si è copiata la natura che, creando coperture detritiche sul ghiacciaio, ne riduce l’ablazione con la formazione di funghi di ghiaccio e morene sopraelevate».

Il 14 maggio scorso sul ghiacciaio del Dosdè (Alta Valtellina, gruppo Piazzi – Campo) a quota 2750 metri , vicino alla stazione meteo Dosdè – Levissima, sono stati stesi 150 metri quadrati di telo. Si tratta del primo test italiano con finalità esclusivamente scientifiche.

I primi dati sono sorprendenti: «Il 19 agosto, a circa 90 giorni dal posizionamento, lo spessore di neve e ghiaccio protetti dal telo è + 1,90 metri rispetto alla superficie del ghiacciaio a monte e + 1,70 metri rispetto alla superficie a valle». Claudio Smiraglia sottolinea anche la valenza di divulgazione e di educazione alla conoscenza e al risparmio delle risorse idriche di questo progetto. Di qui a generalizzare le applicazioni di questo metodo sui ghiacciai alpini il passo è ancora lungo e molti rimangono scettici.

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Jean Pierre Fosson, direttore della Fondazione Montagna Sicura di Courmayeur, afferma: «Bisogna essere molto cauti, riguardo a possibili applicazioni nel campo della gestione del territorio e dei rischi naturali. È necessario tener conto dei costi e soprattutto della sostenibilità ambientale: infatti se occorrono gli elicotteri o altri mezzi meccanici per stendere i teli e ritirarli, si aumentano consumi energetici e emissioni di CO2 e si è al punto di prima». Le società funiviarie tuttavia ritengono il metodo efficace sia economicamente sia ecologicamente, perché non c’è più bisogno di produrre neve con i cannoni.

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