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Si è aperta martedì 13 maggio la prima filiale di Grivel in Asia, a Seoul, Corea del Sud. All’inaugurazione sono intervenuti tutti i giornalisti che si occupano di montagna; in Corea sono ben cinque i giornali di solo alpinismo, e sono intervenute tutte le televisioni coreane; è il solo paese al mondo in cui esiste un canale televisivo esclusivamente dedicato alla montagna e che trasmette 24 ore al giorno.

Gioachino Gobbi, patron della Grivel
, spiega la ragione di un’operazione che appare difficile in questi anni di crisi delle aziende, a cominciare da cosa significhi aprire una filiale in un posto così lontano.  «Siamo abituati a pensare più all’importazione  di prodotti dall’Asia che non alla vendita di nostri prodotti. Premesso che sono molti anni che noi vendiamo in estremo oriente, Cina compresa, è oggi chiaro che l’esportazione è l’unica alternativa per le aziende italiane in una situazione di mercato nazionale stagnante.»

Cosa vuol dire esportare?
«Significa studiare e imparare le abitudini di quelle popolazioni, la storia culturale che hanno alle spalle, le tradizioni che loro rispettano e che si devono rispettare in casa loro. E’ una situazione in cui dobbiamo imparare e che ci serve per vestire i nostri prodotti dell’abito che piace al consumatore».

Questo significa che non sono gli stessi prodotti che si vendono in Italia? «Non possiamo immaginare che i consumatori orientali si adeguino ai nostri canoni. Hanno misure anatomiche diverse, i piedi più corti ma più larghi ad esempio, hanno un diversi modo di leggere il significato dei colori, il bianco è il colore del lutto in Giappone, hanno uno schema di rispetto gerarchico che noi definiremmo “militarista”.  Bisogna conoscere queste differenze e trasferirle nei prodotti».

Perché una filiale? «Una filiale è in pratica un' azienda coreana che pensa ed agisce con i modi coreani, in cui non pensiamo di “colonizzare” nuovi clienti, ma di accontentarli nelle loro esigenze, con un rapporto diretto e completo, senza interposizioni di altre strutture che possono avere motivazioni diverse da quelle dell’azienda italiana».

Non si tratta quindi di una delocalizzazione dell’azienda?
«“Grivel Korea Branch” è una filiale di distribuzione e di vendita, non di produzione – precisa Gioachino Gobbi – Lo scopo è essere a contatto diretto con il mercato, senza reti a maglie strette come finiscono per essere i distributori tradizionali che non sono interessati a trasmettere il "messaggio" Grivel, ma quello della loro azienda di distribuzione. 
Per quanto riguarda la produzione futura saranno le condizioni di efficienza del sistema paese Italia a dettare le scelte, ma non sarà certo la Corea un luogo di delocalizzazione: gli stipendi coreani sono almeno il 50% più alti di quelli italiani, e lo sviluppo economico coreano è almeno dieci anni più avanzato di quello Italiano. Saranno eventualmente i coreani a venire a produrre in Italia!»

Perché dunque in Corea? «Perché è una nazione che conosciamo da tanti anni e soprattutto perché rappresenta oggi il mix migliore tra oriente ed occidente, tra Asia ed Europa e America. E’ il più grande produttore al mondo di navi, avendo rubato gran parte del mercato all’Italia, ha lanciato con successo tre nuovi marchi di automobili, mentre noi non riusciamo più a sostenere i nostri tradizionali, ha un numero di ristoranti italiani impressionate, le panetterie sono francesi e sfornano “baguettes”…».

I coreani negli ultimi anni hanno quindi dimostrato di amare la montagna?
«Basti dire che gestiscono ormai da otto anni il Piolet d’Or Asia che continua a crescere nell’interesse dell’intero continente con un successo di media e di pubblico inimmaginabile per il Piolet d’Or europeo, che sembra sempre più sul viale del tramonto. La Corea del Sud è una finestra sul futuro – conclude Gioachino Gobbi – e Grivel vuole guardare al futuro attraverso quella finestra per imparare a essere sempre più mondializzata, cioè azienda globale e multinazionale».

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