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Locarno – Il Festival del Film di Locarno ha consegnato Lunedì 9 il Pardo d’onore ad Ermanno Olmi, in una giornata che si è aperta con una lunga conferenza stampa del regista e si è chiusa con la proiezione di ‘Cantando dietro i paraventi’, l’ultimo lavoro del grande cineasta. E’ stata l’occasione per scoprire una cosa curiosa: il giovane Ermanno Olmi, 23enne impiegato alla Edison, accetta di girare due documentari sulle attività della compagnia elettrica. Lo scopo era la comunicazione interna ma anche la proiezione nelle sale nelle quali, subito dopo la guerra, il film era preceduto da un cortometraggio.

“Ho accettato questa contaminazione’’, ha detto Olmi a Locarno, “per poter usare la macchina da presa, che da solo non avevo i mezzi per procurarmi. Ovviamente non potevo che onorare l’azienda, ma ogni tanto cercavo di rubacchiare qualcosa di mio”.

Il primo documentario è del 54, è stato recentemente restaurato dall’Enel, e si intitola La pattuglia del Passo San Giacomo. Racconta di un incidente alla linea elettrica dell’alta tensione causato dal taglio incauto di un albero da parte di un boscaiolo formazzino.

La Formazza (innevata come più non ci ricordiamo) è riconoscibilissima: Ponte, la centrale, Canza, il Lago di Morasco. Da Premia parte la pattuglia addetta alla riparazione del cavo. Il racconto è agiografico, ricco di particolari tecnici, e con qualche punta di retorica sul grande ruolo progressivo dell’energia elettrica. Ma si avverte comunque, nel sottofondo, il rispetto e l’ammirazione verso la ‘pattuglia’ e l’empatia naturale che Olmi ha sempre avuto verso la gente umile che sa fare il proprio lavoro. Il documentario si conclude con l’inquadratura di un bimbo (walser?) con il naso schiacciato contro un’improbabile vetrina di giocattoli ancora una volta illuminata grazie alla perizia della pattuglia del Passo San Giacomo.



Il secondo documentario alpino (1956) ha una storia ancora più interessante. Si intitola Manon finestra 2. E’ girato durante lo scavo in roccia di una condotta forzata sulle montagne dell’Adamello. Le ‘finestre’ erano le aperture di ingresso allo scavo della condotta. La numero 2 era stata battezzata vezzosamente ‘Manon’ dagli operai. I documentari di quel tempo (De Seta ruppe questa tradizione) erano accompagnati da un testo letto da una voce fuori campo.

Durante la conferenza stampa Olmi ha raccontato di aver conosciuto Pier Paolo Pasolini, cui parlò dell’attività di scavo degli operai. Pasolini ne fu molto interessato, scrisse il testo, che venne letto da Arnoldo Foà.

Le immagini sono molto asciutte, sobrie e intense. Il testo è altrettanto bello, Pasolini si riconosce nell’ammirazione e nell’affetto per il lavoro operaio. Ne viene fuori un documento senza alcuna sbavatura retorica, quasi che l’incontro con Pasolini avesse dato ad Olmi la giusta misura per aggirare quella che lui chiama ‘contaminazione’.

Olmi, bergamasco di origini contadine, che vive oggi sull’altopiano di Asiago, ci ha fatto scoprire due momenti dell’inizio della sua attività di regista tutti alpini, proprio nel giorno in cui le Alpi ticinesi accolgono il suo cosmopolita, complesso ed ecumenico discorso contro la guerra.









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