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Cinquant'anni dopo la grande tragedia del Vajont (1.918 morti) un documentario di Penelope Bortoluzzi (giovane regista e produttrice) dal titolo 'La passione di Erto' ripropone al Festival del film di Locarno il ricordo di quell'immensa catastrofe intrecciandone la rievocazione con la cronaca della rappresentazione della Passione del Venerdì Santo, tradizionale recita che coinvolge da tempi immemorabili l'intero paese di Erto.

Erto non fu distrutto, trovandosi sul lato della montagna che non precipitò dentro il lago. Ma fu danneggiato al punto che si propose di evacuarlo e ricostruirlo in tre diversi insediamenti. E il paese perse, tra gli altri, il Corona (quanti Corona a Erto, non tutti famosi!) che impersonava Gesù nella recita della Passione. Scomparvero anche tutti i costumi della rappresentazione.

Rimettere in piedi la Passione fu uno degli obiettivi prioritari della gente che non voleva abbandonare il paese.
Il film alterna le immagini delle prove della recita a quelle del disastro e della ricostruzione e alla storia di una delle tante rappresentazioni del Venerdì Santo che si tengono in Italia. Scopriamo così che la tenacia degli ertani si era già manifestata in un lungo braccio di ferro con la Curia, che negli anni tra le due guerre era arrivata a proibire la rappresentazione, che dava luogo a comportamenti non consoni all'ortodossia liturgica.

Certo, il documentario non ha la forza del monologo di Paolini, e forse è troppo lungo, e in qualche parte ripetitivo. Ma Penelope Bortoluzzi ha il merito di aver riproposto il ricordo di quella colpevole tragedia, e di averlo fatto attraverso una riflessione sulle comunità di montagna dove, come dicono i titoli di testa, il passato non è mai alle spalle, ti sta sempre al fianco.

Foto: ©Festival del film Locarno / Marco Abram

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