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Fino all’ultimo il gruppo ha tentato l’ascesa alla vetta, ma troppe condizioni avverse non hanno di certo assecondato le scelte di Nives Meroi, Romano Benet e Luca Vuerich, partiti a fine marzo per tentare la vetta del Dhaulagiri. La vittoria è stata quella di aver saputo rinunciare all’impresa, che avrebbe soltanto messo in pericolo gli alpinisti. Di seguito lo speciale ed una fotogallery, di Luca Succi.



Continua, anche se il gruppo si sta assottigliando, il tentativo della Vetta del Dhaulagiri (8167 mt) da parte di Nives Meroi, Romano Benet e Luca Vuerich partiti a fine marzo.

Il primo maggio, dopo aver installato campo uno il 25 aprile, Romano mi confida che ormai nevica anche dentro di loro, le bufere sono continue e le nevicate si ripetono con frequenza pressoché giornaliere; in quota la neve fresca raggiunge i trenta/quaranta centimetri che si somma a quella precedente caduta creando grande pericolo derivato dall’instabilità. La vita al Campo Base, dice Romano, trascorre lenta e la mente scivola in una pigrizia ovattata che rende pesante ogni gesto. Tutti i giorni iniziano con il bel tempo che dopo un paio d’ore peggiora generando le solite bufere.



La mattina del 4 maggio Nives, Romano e Luca, veterani degli 8000 sono partiti all’alba dopo una colazione veloce, saluti ed un “giro” di Puja, fissando il loro campo a 7300 metri. Sfiorando la cima il giorno seguente la stessa Nives ci descrive la prima parte della salita con queste parole “Vedo la frontale di Romano che procede un paio di centinaia di metri davanti a me, a metà strada c’è Luca, per ultima io. La neve è fonda e pericolosa, sotto i miei piedi avverto le vibrazioni dei passi di Luca. L’equilibrio di tutto il pendio enorme, sembra appeso a un filo e sotto, un salto nel vuoto di oltre 3000 metri.”



Non appena la luce dell’alba ha avuto ragione delle loro lampade frontali, il terzetto si ricompatta e finisce per interrogarsi quando scopre che le tracce del gruppo Coreano, teoricamente in vetta il giorno precedente, terminano… ma la cresta prosegue! Il gruppo non molla e la progressione lungo la cresta di roccia e neve prosegue fino ad una cima, dove qualcuno ha posto un paletto d’alluminio. Le foto e le riprese di rito e poi via, per scendere il più possibile, per scappare al più presto da luoghi, in cui la vita è interrotta e sospesa.



Nella loro discesa, incontrano Inaki Ochoa, loro compagno di Spedizione, che era partito dal Campo Base la sera precedente per tentare una salita non-stop. Nives si rivolge a lui raccontando la salita e questi inesorabile risponde che quella non è la cima. Quella vera è due cime più in là, uno spuntone più alto di circa 30 metri.

Nives Romano e Luca rimangono senza parole ma risalire con quelle condizioni meteo è impensabile. Tutti insieme decidono di scendere, sino al Campo Base, ed attendere una nuova finestra di bel tempo per poi cercare di tornare su fino alla cima.



Luca Vuerich, rientrato al Campo Base con gli altri il 7 maggio è costretto a 30 secondi di brivido nell’acqua fredda e 30 secondi nell’acqua calda per un congelamento ai piedi e mi confessa via satellite che il solo pensiero di dover affrontare nuovamente la parete lo demoralizza. Tre giorni di fatica non si smaltiscono tanto facilmente, soprattutto quando il freddo ha contribuito a rendere tutto più difficile e che mancavano veramente pochi metri per la Cima.



Partiti da casa in una ventina di persone, dopo il rientro già programmato di Mario Cedolin e Klemen Gricar avvenuto il 13 maggio, ora “quelli del Dhaulagiri” sono rimasti solamente in sette: Romano, Luca, Nives, Leila, Inaki, Ivan e Christian. Non possiamo che incrociare le dita e fare un grande tifo per questa eccezionale squadra. La mattina del 19 maggio partenza alle h. 4:30. Questa volta è tutto il gruppo che si mette in moto: il piano di salita consiste nel raggiungere Campo 2 a 7300 metri sperando che il vento, con raffiche sino a 40 mt/sec, non abbia sradicato le tende e di poter ritrovare le picozze abbandonate in parete il giorno dei fulmini.



19.05.05 “Oggi ero a 7300 con Romano Benet e sulla cresta di fronte si sentiva forte il rumore dei tuoni… Terribile, in queste condizioni andare avanti è troppo pericoloso; in montagna esistono delle regole e sono dell’idea che vadano rispettate. Conosco bene il limite che posso accettare, oltre non intendo spingermi”. Con queste parole di Inaki Ochoa, riferite da Leila Meroi dal Campo Base, si è consumato l’ennesimo, forse ultimo tentativo alla Vetta del Dhaulagiri. Anche le notizie drammaticamente rimbalzate via satellite dall’Annapurna hanno suscitato profondo cordoglio e grande commozione per un amico che se n’è andato facendo quello che più amava, salire gli ottomila.



La notte scorsa, destinata all’assalto finale è stata spazzata dal freddo vento sino alle prime luci dell’alba intervallate dal sordo e minaccioso rumore delle valanghe. Il tempo sembrava migliorare ma nel primo pomeriggio nevica nuovamente.

Dal Campo 1 il tempo è infernale, nevica e non si vede niente. “Dal C2 – dice Inaki – è venuta giù una valanga enorme, con blocchi alti come case; continuare è un suicidio, non ci sono le condizioni adatte”. Si deve decidere se scendere al base. In serata Inaki ed Ivan Vallejo sono al Campo Base, mentre questa mattina è arrivato Christian.



Nives Meroi, Romano Benet e Luca Vuerich hanno deciso di rimanere su e partire alle h. 1,30 per fare un ultimo tentativo alla vetta.

Alle 6.30 Leila riesce a contattare Luca che riferisce di essere arrivato a quota 7700 (in prossimità del grande nevaio, poco sotto la cima) ma che le condizioni del pendio sono troppo rischiose per pensare di proseguire. La decisione dei tre è quella di scendere. Andare avanti sarebbe estremamente pericoloso.



Leila racconta che alle 13.30 di oggi di aver scorto tre piccole sagome poco più sopra delle corde fisse, all’attacco della parete; sono Nives Romano e Luca che rientrano e descrive uno stato d’animo comune: la stanchezza quasi non si percepisce sui loro volti. Sono sereni. Hanno fatto la scelta giusta. Nives racconta che le tende precedentemente installate a Campo1 a 6300 metri ed Campo 2 a 7300 sono state trovate semi-sommerse mentre delle piccozze abbandonate tra i fulmini di un precedente tentativo, nessuna traccia. I tre, decisi comunque a proseguire con l’unico ausilio di una piccozza e di bastoncini, hanno poi desistito, come riferito a quota 7700 metri.

La scelta non solo più giusta, ma anche da veri uomini. Saper accettare una sconfitta è un atto di grande coraggio ed una vittoria.



La Fotogallery



Curricula



Inaki Ochoa, 37 anni di Pamplona Spagna. Laureato in filosofia è un alpinista professionista, con al suo attivo la salita di nove “ottomila” fino alla cima principale, lo Shisha Pangma fino alla cima mediana e quattro ripetizioni. Fotografo, scrittore e conferenziere, nonché istruttore di arrampicata.



Ivan Vallejo, 45 anni Equadoregno. Ingegnere chimico e gran ballerino. Ha salito dieci ottomila, tra cui due volte l’Everest da nord e sud senza ossigeno. Insegnante universitario sino al 2000, da allora è alpinista professionista. Come Inaki, Ivan è fotografo, scrittore e conferenziere.



Christian Stangl, 38 anni, di Admont Austria. Ingegnere elettronico ed alpinista professionista. Ha al suo attivo due ottomila saliti.







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