Select Page

Il Cervino si sgretola? Un grido d’allarme viene da un comunicato Ansa a firma Benoit Girod secondo il quale la stabilità del più nobile scoglio d’Europa sarebbe messa seriamente in pericolo a causa di faglie profonde, create da insidiose infiltrazioni d’acqua. La notizia prende spunto da una ricerca dell’Università di Zurigo pubblicata sul Journal of Geophysical Research, che riporta i dati ottenuti con sensori di temperatura e di spostamento, posizionati in diciassette siti sul versante svizzero del Cervino.

«La notizia stupisce i non addetti ai lavori e rischia di creare allarme, ma occorre fare alcune precisazioni» ha dichiarato Marco Cappio Borlino, direttore tecnico dell’Arpa Valle d’Aosta. «Prima di tutto nel comunicato Ansa si usa impropriamente il termine faglia, che in geologia si riferisce a fratture profonde centinaia o migliaia di metri. Nell’articolo dei ricercatori svizzeri le fratture studiate sono superficiali, al massimo di 40 metri. Anche la frana dell’agosto 2003 sul versante sud, pur di dimensioni cospicue, era pur sempre superficiale.  Va però sottolineato che il metodo usato dagli svizzeri è nuovo in quanto i sensori, connessi tramite wi-fi, permettono di raccogliere in tempo reale grandi quantità di dati su cui ragionare.»

L’Arpa Valle d’Aosta dal 2005 ha iniziato un’attività di ricerca sul permafrost, ovvero sul terreno ghiacciato in permanenza in profondità, posizionando una serie di sensori di temperatura: due in prossimità della vetta del Cervino,  tre in prossimità della Capanna Carrel e due all’Oriondé, a una profondità di circa cinquanta centimetri, paragonabile a quella dei sensori svizzeri. Dopo una fase sperimentale, il sistema di monitoraggio è a regime dal 2007: dal 2010 tutti i sensori trasmettono quotidianamente i dati alla sede Arpa via radio. A occuparsi del monitoraggio del Cervino c’è tra gli altri il geologo collaboratore dell’Arpa Valle d’Aosta Paolo Pogliotti, che ha preparato la tesi di dottorato proprio con Stephan Gruber, tra i responsabili del progetto svizzero.

Lo scorso anno sono stati avviati lavori per misurazioni profonde in parete. «Abbiamo praticato nei pressi della capanna Carrel due fori profondi dieci metri – continua Marco Cappio Borlino – Nei prossimi mesi estivi posizioneremo due catene termometriche con sensori di temperatura a diverse profondità e i fori saranno poi chiusi per evitare interferenze termiche dall’esterno. I ricercatori svizzeri hanno monitorato temperature e spostamenti dei margini di fratture già esistenti, (la più estesa delle quali raggiunge i quaranta metri ed è larga circa quindici centimetri), che a differenza dei nostri fori, comunicano con l’esterno. In queste fratture l’acqua può infiltrarsi e arrivare a contatto del ghiaccio profondo riscaldandolo e accelerandone lo scioglimento. Va precisato che l’Arpa Valle d’Aosta, a differenza dei ricercatori svizzeri, non esegue monitoraggi geotecnici: i nostri studi sono focalizzati su misure di temperatura e finalizzati a valutare gli effetti dei cambiamenti climatici sulle dinamiche del permafrost», conclude Marco Cappio Borlino.

Al momento occorre cautela nell’associare i risultati dello studio svizzero a possibili fenomeni di instabilità, anche se, secondo il comunicato Ansa, “dai risultati della ricerca finanziata dal Fonds national suisse (il Cnr elvetico) l'equipe di lavoro si attende ricadute rilevanti, soprattutto per la messa in sicurezza della montagna”.

Share This