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Una bella festa tra alpinisti, le realizzazioni più significative dell’anno illustrate al folto pubblico che riempiva completamente la sala dell’Alpes Congrès di Grenoble, la prestigiosa piccozza placcata oro, offerta dalla Grivel di Courmayeur, nelle mani di Steve House e Vince Anderson e soprattutto nessuna polemica aperta: in estrema sintesi la serata conclusiva del 15° “oscar” dell’alpinismo consegnato il 10 febbraio scorso.



Steve House era già stato incluso nella selezione finale lo scorso anno per la sua solitaria sul K7 e aveva ricevuto il premio del pubblico. Quello della giuria, molto discusso, era andato alla spedizione pesante russa alla Nord dello Jannu. Quest’anno le nomination sono state tutte di spedizioni leggere e alla purezza dello stile alpino ha anche inneggiato Steve House, ringraziando per il premio ricevuto.



Steve House e Vince Anderson sono stati premiati per la loro salita del Pilastro centrale del versante Rupal del Nanga Parbat, 4100 metri di parete di misto M5, superati in puro stile alpino in 8 giorni (6 di salita e 2 di discesa in corda doppia). «Niente di nuovo – ha giudicato la via Steve House – se si pensa alla Sud dell’Annapurna scalata in stile alpino vent’anni fa. Forse la parete non era così grande ed è difficile fare paragoni, forse dopo la spedizione del 1970 c’è un alone mistico intorno al versante Rupal. Comunque la nostra idea era di tracciare la linea migliore e abbiamo raggiunto l’obiettivo». Ma sono state grandiose tutte le altre realizzazioni, ciascuna con una sua caratteristica.



Il giovane e simpaticissimo svizzero Ueli Steck ha puntato sulla velocità. Il suo “Kumbu Express” prevedeva tre salite in solitaria: la Nord del Cholatse (37 ore per 1600 metri di misto M6), la est del Tawoche (circa 4 ore per 1500 metri di ghiaccio e misto V e M5) e la nord – ovest dell’Ama Dablam, interrotta a metà per pericolo di slavine. «Grazie per aver scelto la vita», gli ha detto Gilles Chappaz, conduttore della serata, presentandolo. I kazachi Denis Urubko e Serguey Samolov hanno scelto l’ultimo versante vergine del Broad Peak per la loro via di 3250 metri (6b, M6, A2) salita in 9 giorni con il minimo equipaggiamento possibile (ha fatto sorridere la “moda” kazaca di avere un solo sacco a pelo in due!).



Non hanno avuto il Piolet d’or, ma subito sono giunti i complimenti del primo salitore del Broad Peak, Kurt Diembergher. I francesi, Christian Trommsdorff, Yannick Graziani e Patrick Wagnon,( ironicamente chiamati TGW), con il concatenamento di cresta della cima nord e della cima centrale (7540 m) dell’inviolato Chomo Lonzo in Tibet (difficoltà ED, V+ M5) hanno portato avanti la loro idea di alpinismo di ricerca, di cui ignoto, difficoltà e stile alpino sono i punti programmatici. L’isolamento e la tenacia sono state le caratteristiche della via aperta in tre anni e tre diversi tentativi dai tedeschi Robert Jasper e Stefan Glowacz sul versante nord del Cerro Muraillon, in Patagonia.



La difficoltà maggiore è stata quella di mantenere la testa e la determinazione per portare a termine il progetto, considerato il tempo usato nei trasporti di materiale e quello passato in una truna di ghiaccio aspettando il bel tempo. Primo risultato per la coppia di alpinisti è di essere ancora amici dopo aver passato sei mesi della loro vita in un canale ghiacciato. E con questa sono cinque le nomination tra cui la giuria, presieduta da Stephen Venables, alla fine ha scelto.



I sesti nominati, Ermanno Salvaterra, Alessandro Beltrami e Rolando Garibotti, non si sono presentati e hanno inviato alla redazione di Montagnes Magazine, la rivista che organizza il premio, una lettera in cui chiedevano di essere depennati dalla lista, perché le scalate sono un’esperienza personale, rifiutando in sostanza un giudizio.



Pur rispettando le motivazioni della cordata italo argentina, che ha portato a termine la salita del Cerro Torre per una via “nuova”, se non altro per aver messo insieme pezzi di vie diverse, Chappaz ha ribadito che «Il Piolet d’or non è una classificazione di salite, ma la dimostrazione della diversità nell’alpinismo contemporaneo» e Venables, leggendo le motivazioni della giuria, ha ripreso una frase della lettera «”L’alpinismo non è uno sport olimpico e quindi non ha regole precise, neppure per un giudizio che non sia necessariamente soggettivo”, ma, proprio per questo, è più interessante».

Oriana Pecchio







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