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Già in fase di candidatura ai Giochi le associazioni ambientaliste piemontesi avevano criticato la documentazione presentata da Torino a causa delle carenze nella trattazione delle problematiche ambientali. Il Toroc (il Comitato Organizzatore) sostenne che le Olimpiadi avrebbero dovuto rappresentare una vetrina per promuovere la cultura del paese ospitante, la consapevolezza della protezione dell’ambiente e la sostenibilità. Oltre al piano d’azione ambientale (la Green Card), si fece così ricorso a strumenti UE come il Regolamento Emas (Eco-Management and Audit Scheme) per certificare la sostenibilità dei Giochi.



In un comunicato dell’8 febbraio 2006 il Wwf Italia attribuisce (col dossier “Ghiaccio, Neve, Città”) un voto di sufficienza agli aspetti ambientali delle Olimpiadi di Torino, anche se un bilancio più attendibile potrà essere fatto solo a posteriori.



Si legge nel comunicato a cura del Wwf: “Tra gli elementi positivi […] che hanno caratterizzato le Olimpiadi Torino 2006, la destinazione post-olimpica degli impianti, la coerenza col piano regolatore ed i principi di bioarchitettura per il Villaggio Olimpico a Torino, lo sforzo fatto un po’ ovunque per utilizzare impianti e strutture esistenti, la localizzazione in aree urbane di gran parte delle strutture, la riduzione dei bacini di innevamento al minimo necessario (pur ampia), la predisposizione di una serie di piani di sostenibilità (tra cui il Piano Trasporti, rifiuti, inerti, acque) la cui efficacia andrà verificata ma è pur sempre importante che siano stati fatti, la Valutazione Ambientale Strategica di tutto l’evento, la certificazione EMAS di alcune strutture”.



Ma il dossier considera anche lati meno positivi della questione Giochi e così: “Alcuni punti negativi sono […] molto pesanti: infatti, pur prendendo atto degli sforzi fatti nella ricerca di una possibile compatibilità dei Giochi, il WWF mette sull’altro piatto della bilancia aspetti che intaccano gravemente l’ambiente montano. Si sono volute costruire, in aree delicate e di pregio ambientale, impianti imponenti per due discipline sportive assai poco praticate nel nostro paese, la pista del Bob e quelle del trampolino per il salto. Purtroppo per i trampolini non è stata considerata l’opzione zero (non intervento) in considerazione della vicinanza con gli impianti francesi di Abertville, consentita nella normativa CIO, ed inoltre sono stati realizzati 3 ulteriori trampolini per allenamento non previsti e non necessari ignorando i vincoli idrogeologici, quelli paesaggistico-ambientali e la possibile interferenza con zone tutelate di interesse comunitario, né è stata presa in considerazione la realizzazione di strutture removibili”.



A tal proposito, secondo quando apparso su Alpmedia.net (l’organo di informazione della Cipra), “già oggi si può constatare che è l’aspetto economico a mettere seriamente in discussione le pretese di sostenibilità. Solo i costi di organizzazione ammontano a 1,3 miliardi di Euro, ai quali si aggiungono 2,1 miliardi di Euro per le infrastrutture, per un totale di 3,4 miliardi di Euro, la maggior parte dei quali coperti da finanziamenti pubblici.



Tutto questo mentre il bilancio di previsione presentato nel dossier di candidatura indicava in circa 500 milioni le risorse provenienti dal settore pubblico. Mentre il carico finanziario può apparire sostenibile per la città di Torino, alla conclusione delle Olimpiadi difficilmente comuni come Pragelato o Cesana saranno in grado di sobbarcarsi le spese di gestione del trampolino e della pista da bob”
.



Su quest’ultima questione alla fine dell’anno scorso il sindaco di Albertville, la località che ha ospitato i giochi invernali del 1992, aveva ricordato ai colleghi piemontesi che il trampolino di Courchevel (costruito ad hoc nel 1992) fa oggi registrare un deficit annuo di 200 mila euro.

Fonti e info: www.alpmedia.net; www.agenziatorino2006.it; www.wwf.it







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