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Córteno Golgi – Siamo abituati ad associare al rifugio alpino l’idea della montagna e dei grandi panorami, delle escursioni e delle scalate, del dormire e mangiar frugale ma gustoso. Nel nostro immaginario, spesso giustamente, il rifugio ha anche un’aura di suggestione e romanticismo: il luogo dove è faticoso arrivare e per questo non è da tutti, anzi è per pochi fortunati. Una sorta di eletti consapevoli che l’incanto della meta è un compenso più che sufficiente alla fatica della salita. Tutti sappiamo che il rifugio svolge inoltre un’azione di presidio ambientale della zona circostante. Vi si possono lasciare i rifiuti dell’escursione, che verranno poi traslati a valle dal gestore. Intorno alla struttura e lungo il sentiero che la raggiunge si effettuano opere di consolidamento del pendio o si posizionano paravalanghe. Nei paraggi si attrezzano pareti per la scalata didattica, ponti tibetani e quant’altro.

Gli stessi gestori, riuniti in associazione, sono in grado di farsi ascoltare dal legislatore e di ottenere disposizioni che, da un lato semplificano la vita amministrativa, dall’altro conferiscono discreti contributi pubblici. I mezzi d’informazione, irresistibilmente attratti dal fascino dell’esotico (tutto ciò che è lontano, magari solo apparentemente poiché non raggiungibile in auto, come appunto i rifugi), non lesinano promozione indiretta. Nulla di male: l’attenzione nei confronti di chi opera in sintonia con l’ambiente, in condizioni disagiate e a volte estreme, è d’obbligo. Lo sarebbe, a dire il vero, anche per un’altra tipologia di strutture ricettive, i campeggi alpini. Siccome però il campeggio non è tipico della montagna – anzi in montagna è piuttosto raro – ecco calare il silenzio su questo importante segmento del turismo.

Dovrebbe in teoria balzare agli occhi di tutti che un piccolo campeggio a 1500 metri di quota e uno da cinque ettari sul Garda sono diversi quasi in tutto e hanno problematiche totalmente differenti, ma non è così. Dal livello del mare ai 2000 metri di quota e oltre, le regole sono praticamente le stesse per tutti, grandi, medie o piccole strutture. E sono regole complesse, onerose e a volte persino difficili da applicare in certe condizioni, proprio perché uguali per realtà diverse. È senz’altro questa la ragione principale della scarsa diffusione dei campeggi sulla nostra montagna. Si pensi solo che in tutta la vasta area alpina lombarda se ne contano meno che nella minuscola Valle d’Aosta. Potere del privilegio autonomista.

Ma ciò che c’interessa, in questa sede, è rimarcare la funzione di presidio ambientale che svolge un’azienda ricettiva all’aria aperta in montagna. Similarmente al rifugio alpino, il campeggio (tipo di struttura che enfatizza la vacanza a contatto diretto con la natura) difende e valorizza i beni ambientali e naturali che gli sono propri. Sulle Alpi in generale e su quelle lombarde in particolare, troviamo campeggi che hanno fatto, già negli anni ‘50-‘70, consolidamenti idrogeologici ante litteram, persino prima che esistessero le leggi relative o che queste ne dettassero i criteri.

In Valtellina e Valcamonica abbiamo esempi mirabili di arginatura dei torrenti, fatta a spese dei privati, sulle sponde dei quali sono situati piacevoli spiazzi ombreggiati destinati in estate a riempirsi di tende colorate o di caravan super accessoriate d’inverno. Abbiamo casi di Comuni che, per una malintesa regimazione delle acque, hanno ridotto a neglette condotte d’acqua morta i torrenti che scorrono nei fondovalle, parzialmente “salvati” proprio in corrispondenza di qualche campeggio con opportune arginature in massi a secco, sotto e tra i quali rimane possibile la vita acquatica e vegetale.

Il campeggio, almeno in montagna – almeno nella montagna camuna e valtellinese – resta un luogo dove il “posto natura” viene messo a disposizione del turista-campeggiatore che desidera immergersi nella vita del bosco, anche rinunciando a qualcuna delle comodità del vivere accatastato tra asfalto e cemento, plastica e tecnologia. Campeggio da noi in montagna vuol dire ancora vedere nel torrente le trote guizzare o sulle rive le rane saltellare; poter cogliere i mirtilli o i funghi dietro la tenda; udire il gradevole baccano dei tordi e dei fringuelli o il colpo di una pigna sopra la roulotte; poter carezzare le genzianelle o le orchidee maculate; sopportare che qualche formica o ape ci entri nella veranda, odorare il fumo del camino della caldaia a legna o la grigliata del vicino. Forse non occorre che se ne parli. Basta che la stirpe dei campeggiatori continui a esistere e a riprodursi!









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