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La scorsa settimana il Monte Rosa ha restituito alcuni resti umani (un dito congelato e altre ossa, brandelli di un maglione verde, una camicia color sabbia, pezzi di un giubbotto, un moschettone ovale e un fazzoletto finemente ricamato), solo l’esame del DNA potrà stabilire con certezza a chi sono appartenuti. Li hanno trovati a circa 2000 metri di quota, poco sopra il Belvedere, al limitare della morena.

E’ stato soprattutto il fazzoletto finemente ricamato a far pensare a lui, a Ettore Zapparoli, il solitario musicista e romanziere, nato a Mantova il 21 novembre del 1899, che la Est  percorse ripetutamente con il corpo e con la mente come un amante ossessivo, che da lei fu più volte respinto, ma alla fine definitivamente accolto in un tardo pomeriggio d’agosto del 1951.

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Eugenio Pesci nel suo libro ”Solitudine sulla Est” così gli si rivolge: …“Ma chi eri Ettore Zapparoli, cosa pensavi in quella notte d’agosto mentre correvi, libero dai ceppi del mondo, sulla pelle increspata del Rosa? Avevi forse perduto la ragione o il senso del tempo quando salisti da Macugnaga, per l’ultima volta? O forse come Alpico Neri, tuo giovane alter ego romanzesco, volevi solo svanire nel circo del sempre, passando come una bolla d’acqua tonda attraverso il blu dei cieli di settentrione?” … “E del resto, cosa avresti ritrovato, quattromiladuecento metri più in basso, se sempre ti mancarono tremila metri per vivere?…

Vorrei tanto che quei poveri resti non fossero quanto rimane di Ettore Zapparoli, vorrei che la sua fuga dalla realtà, la sua ricerca di assoluto non fossero così miseramente tradite proprio da lei, dalla Est che tanto aveva amato. Vorrei tanto poter continuare a immaginarlo vagare, finalmente sereno, tra rocce e seracchi illuminati dalla luna e non: costretto a scendere di lassù per rientrare nel giro delle faccende cittadine.

Da “Il silenzio ha le mani aperte” di Ettore Zapparoli

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Se uno è costretto a scendere di lassù
per rientrare nel giro delle faccende cittadine,
in viaggio, appena può, s’intana nell’angolo
di un vagone, chiude gli occhi
schifando la realtà che ha intorno,
e improvviso gli scatta allora nella mente
lo specchio della parete in un rovescio di luce,
e mormora: amore.

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