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«Sono passati dieci anni da quando con mio padre siamo riusciti a portare a termine una sfida che rimaneva aperta dal 1983. Un anniversario che sono felice di condividere con tutti gli appassionati di montagna e con chi, forzatamente stretto fra le mura di casa per questa emergenza, ha bisogno di distrarsi o incuriosito vuole conoscere la storia di una famiglia di montanari, alpinisti, esploratori e guide alpine del Cervino da quattro generazioni», così afferma Hervé Barmasse, anche lui confinato nella sua casa di Valtournenche.

Il Couloir dell’Enjambée, oggi Couloir Barmasse, era stato definito dai più forti alpinisti degli anni Ottanta come “uno degli ultimi grandi progetti logici delle Alpi” ed era ancora irrisolto prima che i Barmasse riuscissero nell’impresa. Una grande avventura che tra le pieghe di una delle montagne più conosciute al mondo, il Cervino, vi racconterà la storia di un padre e di un figlio uniti dalla stessa passione per la montagna e l’alpinismo.

Hervé avrebbe dovuto partire domenica 12 aprile, giorno di Pasqua, per la sua prossima spedizione alla cresta Sud Ovest del Cho Oyu, con il tedesco David Göttler e il colombiano Andres Marin. Ma prima i cinesi avevano negato il permesso e poi, dopo aver pensato a un piano B con obiettivo interamente in Nepal, Hervé aveva rapidamente cambiato idea. «Era evidente che di lì a poco si sarebbe bloccato tutto e poi ho pensato che sarebbe stato disastroso portare il virus in Nepal, Paese con un sistema sanitario quanto mai fragile», spiega Hervé Barmasse. Il virus in Nepal è arrivato lo stesso, anche se mancano dati precisi, e come la vicina India è in lockdown. «Purtroppo sarà un duro colpo per l’economia nepalese perché le spedizioni in stagione pre-monsonica comportano un giro di affari di 60milioni di dollari, un’enormità per il Paese. – continua Hervé Barmasse – Ma le montagne non si muovono! Per le famiglie Sherpa saltare una stagione forse non inciderà più di tanto, si potrà aiutare la popolazione con donazioni. Dopo aver deciso che non sarei partito in nessun caso, il Coronavirus è arrivato anche in Italia e la situazione attuale mi ha indotto a riflettere sulla mia vita e sull’alpinismo in generale».

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Non gli calza più la veste dell’alpinista di punta o dello sportivo che a tutti i costi deve mantenere l’allenamento. Queste ultime tre settimane non sono state solo occasione per trascorrere più tempo con la compagna Grazia Fenu e le figlie Lucie e Amelie, ma anche per meditare su quel che è cambiato nella vita di tutti e sul dopo, da dove e come far ripartire l’alpinismo. «Come tutti ho cercato di riempire le mie giornate e con le bambine, di due e un anno, non ci si ferma mai – continua Hervé Barmasse – Io sono fortunato, perché vivo in una casa nel bosco, vado in bici sui rulli e guardando fuori dalla finestra mi sembra di pedalare all’aperto. Poi faccio esercizi, metto in ordine foto e video e ho cominciato a mettere i miei film on line a disposizione di tutti. Soprattutto mi sono a lungo interrogato su cosa varrebbe la pena di fare dopo, quando l’emergenza sarà finita».

Le limitazioni dell’attività outdoor sono un peso per tutti, ma come capita spesso ci accorgiamo di quanto siano preziose certe cose solo quando ci vengono tolte. «Questo periodo cambierà le nostre esigenze primarie, tutti avremo bisogno di stare di più nella natura e anche la politica dovrebbe riflettere sulla qualità della vita – aggiunge Hervé Barmasse – Credo che la montagna non debba essere solo un luogo da sfruttare: bisogna guardarla con più rispetto e difendere la natura dall’aggressione dell’uomo. La qualità della vita deve cambiare anche in città attuando comportamenti virtuosi a difesa del territorio. Occorre migliorare la mobilità nelle città, andando in bici o con i mezzi pubblici, e non portare le auto, e l’inquinamento conseguente, in montagna: bisogna rispettare il territorio in modo globale. Nessuno può ancora dire se questa epidemia sia connessa ai cambiamenti climatici, ma il nostro pianeta si è ammalato e oggi la stessa sorte è toccata all’uomo. E sarebbe bene che ci fosse anche più rispetto reciproco: sui sentieri non ci si saluta più, manca educazione e senso civico».

La riflessione di Hervé Barmasse si spinge oltre, a cosa fare dopo l’emergenza: «Ripartirei proprio dal territorio, dalle montagne italiane, non solo Alpi, ma anche Appennini. Sarà difficile che riaprano le frontiere in tempi brevi e dovremo essere pronti a un’offerta turistica che soddisfi l’esigenza di un maggior contatto con la natura qui, da noi». La prossima stagione estiva sarà quindi difficile per tutti? «Credo che a soffrire sarà tutto il comparto turistico, anche le guide alpine – conclude Hervé Barmasse – Per gli atleti professionisti gli sponsor potrebbero tagliare i finanziamenti. La North Face, uno dei miei sponsor, ha chiuso i suoi negozi nel mondo e mi aspetto tagli e ridimensionamenti. Che senso ha adesso investire in spedizioni a un Ottomila? Credo che nel prossimo futuro anche loro si rivolgeranno agli alpinisti amatoriali e non agli atleti professionisti. Per altro anche gli alpinisti fanno parte della società e anche loro dovranno fare la loro parte per tornare a una vita “normale”, ripartendo dalle montagne».

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