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I recenti tragici fatti accaduti in Himalaya hanno riproposto il problema dei soccorsi in aree remote e ad alta quota. Adriano Favre, direttore del Soccorso Alpino Valdostano, esperto himalaysta con sei ottomila all’attivo e numerose spedizioni nel curriculum, fa il punto sull’evoluzione dell’elisoccorso nelle regioni extraeuropee.

«Poco è cambiato – afferma Adriano Favre – sia perché non esiste un servizio strutturato, sia perché per l’elicottero si può ipotizzare il soccorso fino a 6000 / 6200 metri. Interventi di questo genere sono stati effettuati in casi eccezionali, con piloti esperti e condizioni meteo favorevoli. Qui la quota massima degli interventi è quella del Monte Bianco che corrisponde alla quota dei campi base degli ottomila».

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Racconta le sue esperienze dirette: «Nel ’95 mi trovavo al Khanjenzonga quando scomparve Benoit Chamoux. Si fecero dei sorvoli della zona, ma con degli aeroplani, e poi furono inviati degli sherpa di soccorso depositati al campo base a 5300 metri. In quell’occasione per far decollare l’elicottero scarico dal campo base, tra tutti dovemmo sollevare i pattini a braccia. L’anno dopo al Manaslu un elicottero russo Kazan, che offre ottime prestazioni, riuscì a atterrare a 6200 metri per recuperare alcuni giapponesi. Un grande intervento del pilota».

Altro soccorso ai limiti fu quello del recupero all’Annapurna, a circa 6000 metri, di Abele Blanc, Marco Barmasse e Christian Kuntner che sarebbe morto in poche ore per le gravi lesioni interne. In quell’occasione Adriano Favre, che si trovava al campo base nord dell’Everest, fu contattato via satellitare da Marco Camandona, rimasto indenne: «Gli ho dato subito supporto psicologico e aiuto per organizzare i soccorsi. In 24 ore sono poi riuscito ad arrivare a Kathmandu e ho potuto dargli una mano per gestire i feriti. Quello che ha veramente cambiato il soccorso in montagna sono stati i cellulari e i satellitari. Se Marco non avesse avuto il satellitare l’elicottero non sarebbe arrivato così tempestivamente».

Adriano Favre mette però in guardia dal trarre facili conclusioni sulle possibilità di essere soccorsi in aree remote: «L’eccessiva spettacolarizzazione dei soccorsi di questi giorni non deve indurre false sicurezze. In aree remote un piccolo incidente può avere conseguenze catastrofiche. Gli elicotteri possono essere usati, ma essenzialmente fino ai campi base e i recuperi a quote superiori sono casi eccezionali. Infine è da avere ben chiaro che non esiste un elisoccorso come lo intendiamo noi, né dal punto di vista tecnico, l’uso del verricello non esiste, né dal punto di vista medico».

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Secondo lui si potrebbe ipotizzare per il futuro di rendere obbligatoria un’assicurazione per il recupero con elicottero che pur con i limiti sopra detti. Si potrebbero risparmiare a infortunati e ammalati i tratti da percorrere tra campi base e centri di soccorso. Tuttavia in certe aree, come il versante cinese dell’Everest o altri ottomila in territorio cinese, l’elicottero non esiste proprio.

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