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È stato bravo Maurizio Nichetti, direttore artistico del Trento Film festival, a condurre la serata di giovedì 30 aprile sul Cerro Torre. Rispettoso di tutti i protagonisti, ha cercato di far quadrare il cerchio delle polemiche che da cinquant’anni infiammano questa torre di granito perennemente incrostata di ghiaccio.

Maurizio  Nichetti non è un alpinista. Come ha dichiarato e mostrato la sua impresa migliore è stata una solitaria di corsa sulla collina di San Siro, e quindi ha guardato la storia del Cerro Torre con il distacco del non addetto ai lavori. In molti si sono chiesti perché riproporre un’altra volta una serata sul Torre, dopo quella di tre anni fa. C’erano buoni motivi. Innanzitutto l’interesse vivissimo, soprattutto a Trento per questa montagna, due  teatri (uno in collegamento video) con posti esauriti. Poi un’ora prima Reinhold Messner aveva presentato al pubblico il Grido di Pietra, appena uscito per i tipi del Corbaccio, in cui, con precisione chirurgica, esamina la salita di Maestri ed Egger negando loro ogni possibilità di averla effettuata Infine perché sono passati 50 anni giusti da quando Maestri era partito per un’impresa giudicata impossbile dai più.

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Nichetti ha cominciato ricordando la sua prima volta all’auditorium Santa Chiara, chiamato per la regia del Barbiere di Siviglia, opera composta da Rossini in soli quindici giorni: un’impresa anche lì impossibile, eppure riuscita. Dell’opera Nichetti ha ricordato la celebre aria cantata da Don Basilio “la calunnia è un venticello” recitandola fino in fondo, con convinzione, come se avesse a che fare con la storia del Torre.  Poi ha inserito la conquista del Cerro Torre nel periodo storico, richiamato alla memoria  con canzoni dell’epoca, ha ricordato le divisioni interne al club alpino di Buenos Ajres, divisioni che nel 1957 richiamarono in Patagonia ben due spedizioni italiane, quella ufficiale di De Tassis e Maestri, di cui è stata presentato un filmato inedito, e quella di Bonatti e Mauri, ripresi dalla cinepresa di Renato Cepparo per il film “Cerro Torre”. Nulla di fatto per entrambe le cordate, la montagna era impossibile. Ma Maestri non ne era convinto e nel ’59  tornò, senza investiture ufficiali, con Toni Egger, il miglior ghiacciatore del tempo, e Cesarino Fava per il supporto logistico. 

Ancora adesso il Cerro Torre “si frega le mani” perché da allora è stato al centro dell’attenzione del mondo alpinistico. Che Cesare Maestri sia riuscito o no a raggiungere la vetta con Toni Egger prima di essere entrambi travolti da una valanga di ghiaccio non riusciremo probabilmente mai a saperlo: potremo credere o no, fare illazioni e verifiche scientifiche, ma la conclusione di Nichetti è che sia lecito dubitare di tutto, anche di chi dubita, e credere quel che si vuole. La storia del Cerro Torre è andata avanti, con un compressore/ sponsor che ancora sta attaccato alla parete, portato da Maestri con Carlo Claus (presente in sala) e Ezio Alimonta. Nel 74  i Ragni di Lecco   Casimiro Ferrari, Daniele Chiappa e Mario Conti, raggiunsero la vetta nella prima ascensione indiscussa e documentata.  Seguì  una miriade di vie nuove tracciate sui diversi  versanti e di tentativi alla Egger – Maestri. Erano presenti in sala alcuni tra i protagonisti della storia: Maurizio Giarolli, Silvio Karo, Rosanna Manfrini (prima donna a scalare il Torre). Nel 2005  Ermanno Salvaterra con Beltrami e Garibotti, ha (ri)percorso per la prima volta la parte finale della via Egger – Maestri senza trovare traccia del passaggio precedente.  Che cosa concludere?

La storia non ha fine: questa sembra essere l’unica conclusione possibile, con l’elogio del dubbio di Bertold Brecht rivolto a tutti.
Qualcuno però ha trovato pace sul Cerro Torre. Elio Orlandi, che ha cominciato lo scorso inverno a tracciare una nuova linea sulla montagna, con la delicatezza e l’affetto di un figlio verso il padre, ha lasciato le ceneri di Cesarino Fava nel punto massimo toccato dalla nuova via, con la speranza di riuscire a portarle fino in vetta. Andando al di là delle polemiche Nichetti  ha ricordato l’entusiasmo  che ha animato i protagonisti di dieci lustri di storia e ha celebrato il mito di questa montagna e di tanti alpinisti, senza vinti né vincitori. 

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