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Dopo un’abbondante nevicata e i pericolosi accumuli creati dal vento, come ogni anno si contano i morti provocati dalle valanghe. Le valanghe sono un pericolo da affrontare a vari livelli.

Ecco una serie di utili consigli per prevenire, riconoscere il pericolo e soccorrere.

1) La prevenzione primaria delle valanghe inizia con un’attenta scelta della gita, da pianificare a tavolino prima di partire, considerando inclinazione dei pendii, esposizione, dati dei bollettini niveo meteorologici – www.aineva.it – che ogni regione fornisce, in alcuni casi ogni giorno. Non è sufficiente guardare il dato riassuntivo del grado della scala di rischio valanghe, considerato che si può fare una gita anche con pericolo alto se attentamente valutata e che si può provocare un distacco di valanga con grado di pericolo generale basso. Bisogna poi attuare una corretta valutazione delle condizioni della neve e dei pendii sul posto e saper cambiare itinerario o valutare piccole differenze di percorso, che possono fare la differenza tra la vita e la morte. Sono valutazioni difficili, che si imparano a fare sia a tavolino, sia soprattutto con molta esperienza pratica. Un’attenta esamina delle proprie capacità di giudizio può quindi aiutare nelle decisioni. Nel dubbio affidarsi a una guida alpina.

Valanghe e soccorso

2) Dispositivi di ricerca e autosoccorso. Pur adottando tutte queste misure, rimangono pur sempre un margine di errore di valutazione e previsione (errare è umano) o di condizioni non prevedibili. Per questo quindi chi si avventura fuori pista, con gli sci o le ciaspole deve avere sempre addosso e acceso l’apparecchio Artva, il segnalatore per la localizzazione e la ricerca dei sepolti, nonché pala e sonda. Se si ha la “sfortuna” di essere travolti da una valanga e la fortuna di sopravvivere ai traumi conseguenti, cosa che avviene nel 93% circa dei casi, per non morire soffocati è fondamentale il soccorso immediato prestato dai compagni di gita.
Se il recupero del sepolto avviene infatti nel giro di quindici minuti circa (tra i dieci e i venti, a seconda della densità della neve, perché una neve molto densa più facilmente provoca morte per asfissia), le possibilità di uscirne vivi sono ancora molto alte (intorno al 90%), ma calano bruscamente nel tempo che intercorre tra la chiamata dei soccorsi organizzati e il loro arrivo. I compagni di gita devono quindi sapere usare rapidamente e in modo corretto localizzatore, sonda e pala per soccorrere chi è rimasto sotto. Proprio per imparare ad agire rapidamente, per di più in un momento in cui è difficile essere lucidi e razionali, sono operativi i “campi Artva” dove si può fare esercizio per imparare a usare l’apparecchio di ricerca “a occhi chiusi”, quasi in automatismo, in modo da poter affrontare e superare le condizioni di stress cui si è sottoposti in caso d’incidente reale. Nei campi Artva di solito esiste una centrale di comando dove tutti gli utenti possono attivare uno o più trasmettitori, sepolti a diverse profondità e inclinazione, simulando situazioni realistiche di ricerca con diversi livelli di difficoltà. I trasmettitori vengono attivati in modo casuale, non codificato,  e sono sistemati in scatole che al semplice tocco della sonda inviano il segnale alla centrale di comando.

Attenzione! La trasmissione dell’apparecchio Artva può essere influenzata dal telefono cellulare che durante la gita va tenuto in modalità aereo. Il funzionamento dell’apparecchio è sensibile anche alla presenza di magneti, per esempio quelli di certe custodie dei telefoni cellulari o delle chiusure dei guanti.

respirare sotto un valanga di neve

3) Cosa fare una volta trovata la persona sepolta? Due cose immediate: liberare le vie aeree e evitare la perdita ulteriore di calore isolandola termicamente, in attesa del trasporto in ospedale. Se il recupero dell’infortunato avviene dopo i venti minuti potrebbe infatti essersi instaurata un’ipotermia, cioé l’abbassamento della temperatura corporea, che a sua volta può provocare l’arresto cardiaco.
Per prevenire ulteriore perdita di calore isolare il travolto con teli termici sopra e sotto, coprirlo con indumenti, giacca, berretto, senza togliere indumenti bagnati o sudati per limitare i movimenti del corpo.
Se i segni vitali sono assenti (paziente incosciente, battito e respiro assenti) e non sono evidenti lesioni chiaramente letali (decapitazione, sezione del tronco, torace non comprimibile per rigidità da freddo) si deve iniziare la Rianimazione Cardio-Polmonare di base, in attesa di consegnare il travolto ai soccorsi organizzati per il trasporto in ospedale.

Si ricorda che i limiti della sopravvivenza umana con basse temperature corporee sono incredibili: la sopravvivenza con temperatura minima registrata è quella della radiologa Anna Bagenholm (descritta in M. Gilbert. The Lancet Jan 29 2000 ) che sciando cadde in un torrente ghiacciato e rimase intrappolata nell’acqua sotto una lastra di neve. Pur avendo una cavità aerea per respirare, dopo 40 minuti andò in arresto cardiaco e quando fu estratta, dopo altri 40 minuti, la sua temperatura corporea era di 13,7°C. Fu rianimata per nove ore e si svegliò dal coma dopo dieci giorni, con un recupero pressoché totale dopo due mesi. Analogo è il caso di un bambino caduto nell’acqua di un laghetto ghiacciato, che fu risuscitato quando la sua temperatura corporea era di 13°C (U. Kjelmann. Göteborg, Sweden, 2011)

Vi segnaliamo l’interessante incontro di sabato 9 e domenica 10 marzo 2019 presso il Rifugio Albani, Colere (BG)Progamma e locandina.

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