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Paolo Conte parla, in una sua canzone di qualche anno fa, di “palme e bambù”, descrivendo uno scenario d’America latina. Vedere oggi le palme sulle Alpi, siamo d’accordo, farebbe dunque un certo effetto. Anzi, lo fa, perché stando ai dati raccolti da alcune ricerche e recentemente pubblicati ne emerge proprio che la palma del Giappone riesce oramai a crescere a quote sempre più alte sia nel versante nord che nel versante sud delle Alpi, anche in campo aperto.

Un passo indietro per capire i cambiamenti: negli anni Cinquanta la coltivazione di queste palme introdotte dall’Asia era possibile a sud delle Alpi solo fino a un massimo di 800 metri di altezza. Le indagini di oggi attestano invece che nell’ultimo decennio le palme sono riuscite a sopravvivere all’inverno a quote ancora più elevate nel versante meridionale delle Alpi, e in campo aperto nel versante settentrionale. Le palme crescono ormai così bene che riescono a propagarsi spontaneamente anche nei boschi, dove potrebbero essere fermate solo da un inverno particolarmente rigido che, di fatto, non si vede da tempo. La ricerca pubblicata nell’ultimo numero della rivista specializzata “Botanica Helvetica”, mette in luce come in alcuni boschi dei versanti esposti a sud nei pressi dei laghi tra l’Italia e la Svizzera, le palme si siano ormai insediate stabilmente tanto da competere con le specie autoctone.

Secondo Gian-Reto Walther – l’autore della ricerca – dell’Istituto di Geobotanica dell’Università di Hannover, la palma del Giappone è un esempio simbolico dei cambiamenti biologici innescati dal riscaldamento globale del clima. Rovescio – se di rovescio si può parlare – della medaglia: la diffusione verso nord di agenti patogeni o vettori di malattie originarie di regioni meridionali.

Fonte: Alpmedia





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