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La montagna diventa risorsa e luogo di riabilitazione anche per malattie psichiatriche. Questo il messaggio portato da Sandro Carpineta, Medico Psichiatra presso l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia di Trento e membro della Commissione Centrale Medica del Cai, al recente convegno di medicina di montagna di Bergamo.

Gli abbiamo rivolto alcune domande.



La montagna può essere uno strumento di riabilitazione non solo per cardiopatici o asmatici o diabetici, ma anche per particolari patologie mentali? «Non ci sono preclusioni di sorta all’avvicinare pazienti psichiatrici alla montagna – risponde Sandro Carpineta – Sono state realizzate esperienze con pazienti con gravi patologie psichiatriche (quindi psicosi, autismo o gravi disturbi di personalità) inseriti in progetti che prevedono esperienze di media-alta difficoltà (arrampicata, neve/ghiaccio, altitudine ecc.)».



Cosa offre la montagna rispetto ad altre proposte riabilitative? «Si tratta di proposte per loro natura fortemente aggreganti e che favoriscono il contatto con realtà “esterne” al circuito psichiatrico (ad esempio la frequentazione delle sezioni del C.A.I.); questa è una strategia centrale per impedire il marchio sociale a cui il paziente psichiatrico è spesso condannato. Fondamentale è la dimensione del gruppo, all’interno del quale ogni persona diventa un anello importante, impara ad affidarsi agli altri ma anche ad essere lui in prima persona responsabile della sicurezza degli altri, siano essi accompagnatori o pazienti; ed a questo proposito la corda e le manovre di assicurazione assumono un forte significato simbolico».



Che ruolo ha l’ambiente di montagna nel processo riabilitativo? «L’ambiente impone ritmi e limiti, costringe ad acquisire conoscenze integranti, come l’orientamento, i nodi, la meteo, la flora, ecc., porta a riscoprire la manualità, a stabilire rapporti con soggetti diversi dai sanitari che perdono la propria importanza a favore di guide alpine o istruttori Cai. L’ambiente suscita emozioni, attraverso sensazioni che arrivano dal corpo, e proprio il corpo, spesso abbandonato o negato nella patologia psichiatrica, qui viene riscoperto, riappropriato, attraverso il movimento, attraverso la fatica, nel misurasi con gli elementi atmosferici, nel confronto con la verticalità, nella scoperta del raggiungimento di una meta».



Sono numerose le esperienze di montagnaterapia, da quando fu “inventata” da Giulio Scoppola?

«Attualmente a noi sono note più o meno trenta realtà già operative sul territorio nazionale, il che vuol dire che molte di più sono quelle che necessitano di essere conosciute. Abbiamo in progetto di costruire una “rete” che possa collegare tra loro i gruppi di lavoro, da quelli appena nati a quelli storici e con maggior esperienza, come il “Coordinamento per la Montagnaterapia del Lazio”. E’ in corso la realizzazione di un Sito Internet (www.sopraimille.org) che diventerà attivo tra poche settimane, e di un Coordinamento Nazionale, ove tecnici ed operatori rappresentativi di tutte queste esperienze possano incontrarsi, in modo virtuale e reale, ed organizzarsi per favorire l’ulteriore sviluppo di questa teoria riabilitativa».



Oriana Pecchio





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