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L’ascensione del Monte Bianco, a duecento anni dalla prima salita, è ancora un’impresa? Sembrerebbe di sì visto che la percentuale di insuccessi è di circa il 30%. La quota elevata e la rapidità (due giorni in genere) con cui viene salito, fanno sì che l’ascensione del Monte Bianco non sia così banale come sembra.



Quali fattori possono essere determinanti per gli alpinisti nel raggiungere la più alta vetta dell’Europa occidentale di 4807 metri? Un gruppo di ricercatori scozzesi (G.Tsianos e colleghi) ha pubblicato sul numero di gennaio 2006 dello “European Journal of Applied Physiology” i risultati di una ricerca condotta nell’agosto 2002 al rifugio Gouter su 285 alpinisti (49 femmine e 236 maschi) in procinto di scalare il Monte Bianco. Gli alpinisti dovevano essere sottoposti a un controllo anche il giorno successivo, al loro ritorno dall’ascensione. Ben il 24% dei soggetti però non si ripresentò al controllo e non riferì (per lettera o posta elettronica) il risultato dell’ascensione. Dei soggetti che completarono gli esami solo il 6% non riuscì a terminare l’ascensione, ma la bassa percentuale di insuccessi potrebbe essere stata influenzata dall’alta percentuale di dati mancanti. Nessuno di coloro che non raggiunse la vetta aveva effettuato escursioni a quote superiori ai 3000 metri nelle due settimane precedenti. Coloro che erano stati sopra i 4000 metri nelle due settimane precedenti arrivarono tutti in cima e più velocemente degli altri, ebbero meno sintomi di mal di montagna e presentarono una più alta saturazione di ossigeno.



Per scalare con successo il Monte Bianco è quindi indicato non solo allenarsi allo sforzo di resistenza, ma anche, come già avevano ipotizzato altri studiosi allenarsi alla quota. Effettuare la salita di un altro o altri quattromila meno impegnativi (Gran Paradiso, Castore, Breithorn), una sorta di esposizione intermittente all’alta quota, è un vecchio e conosciuto espediente usato da molte guide alpine per garantire ai loro clienti il Monte Bianco.



Oriana Pecchio







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